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Ho aperto la finestra ed è entrato il mattino
senza chiedere, senza salutare.
Il mattino millantatore di sempre
con tutto il suo carico di miraggi,
isole non trovate e favole senza finale.
Sul tavolo la bottiglia vuota e un libro
pensieri notturni già spesi.
Sul tavolo né un pane né un vino
ed al supermarket dei frutti proibiti
si entra solo con invito.
Mele vietate ai poveri,
fichi in offerta speciale
per astiosi e arroganti,
fragole bianche
che solo i ricchi possono capire
e poi nell’angolo delle occasioni patinate
libri rilegati di pensieri infiniti,
“Veh, acqua che scorre, veh, vita che scorre”.
Premio letterario.
Oggi piove,
mattino di pioggia affamato di sole.
Il poeta, quello vero e premiato
metterebbe maiuscola a ogni capo riga
e poi verbo, sostantivo, complemento
fino alla fine, in modo che tutto significhi tutto,
senza pietà per le povere menti.
Ma oggi piove e c’è posto solo per rovistare
tra i sacchi della malinconia accumulati,
mentre il tempo recita uno slogan di passaggio
e saluta come un arrotino che non passerà più.
C’era una volta...
una favola disegnata sul muro
di un bambino bacato, perso in un bosco d’idioti,
una favola col finale già segnato
e da raccontare inutile;
restano solo le fotografie di fantasmi svergognati
a sputare in faccia vecchi sorrisi
con il suo in primo piano.
Continuo a fissare quel viso
al quale ho regalato una poesia,
parole malate rimaste in attesa
della compassione di uno sguardo,
ma il sorriso è evaso dalle sue labbra
e resta orfana la domanda,
mentre vorrei arrampicarmi fino alle nuvole
per schiaffeggiare la vita,
e portarla lungo il viale
a passeggiare insieme alle altre,
perché proprio lei mi ha suggerito
di spiare sotto la veste degli angeli
e per questo sono stato condannato all’inferno,
condannato a dare un nome a ogni lacrima
e alla vergogna del sesso
per tutta la durata del viaggio.
Troppe le strade smarrite e quelle non capite,
ma il viaggio resta e continua
fino ai confini dell’impossibile
pagando debiti e biglietti ai demoni della fantasia,
fino alla prima cosa imparata nella vita,
fino a giocare ai dadi con la speranza,
fino al domicilio sconosciuto di Dio,
Solo allora ti rendi conto di quanto hai corso
e che gli altri hanno perso il passo
e che accanto a te non c’è nessuno.
Solo allora chiudi gli occhi e ti accorgi
che troppo hai tardato a chiudere la finestra,
che la notte è già entrata e non la puoi più scacciare,
che dovrai rassegnarti a camminare
tra le luci spente delle sue strade,
quelle che non riesci a leggere il nome,
quelle che hanno mangiato anche la luna,
quelle che finiscono
quando meno te l’aspetti. | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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