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Me so’ svejato presto ‘sta matina,
pe’ sorti’ fora e anna’ ne’ la cantina,
a ppia’ la legna che ne’‘r caminetto,
se stav’a bbrucia’ l’urtimo ciocchetto.
Bevuto er latte ne’‘r caffè bollente,
scennetti sotto casa, n’ c’era gente,
co’‘r freddo ce se cala solo ‘n pazzo,
ar piano ppiù ‘nterato de’‘r palazzo.
Ereno poco meno de le otto,
me so’ allungato e t’ho fatt’er botto,
su’‘r ghiaccio senza scarpe co’ la para,
come la nave quanno che sse vara.
Ma piano piano arzanno ‘ste quattr’ossa,
p’aripiamme da ‘sta brutta mossa,
doppo arivato e aperta la seranda,
me scolo a gargarella ‘na bbevanda.
E tanta ch’era stata la paura,
che pe’ carmamme tutta quell’arsura,
nun m’accorgetti d’esseme attaccato,
a ‘n fiasco pieno che mme so’ scolato.
Quanno che sso’ passati ddu’ menuti,
ho ‘ncuminciato a canta’ l’acuti,
e co’ li rosci ‘n faccia e ‘n granne callo,
senza li soni me so’ ddato ar ballo.
Pe’ tutt’er giorno nun so’ stato male,
nimmanco me pareva ch’è Natale,
un’allegria dovete damme retta,
sembrava Pasqua anzi ppiù Pasquetta.
Così me so' 'mparato ‘na morale,
quanno che cc'hai l'inverno che t'assale,
comprete meno legna da camino,
e fatte du' bicchieri de bon vino! |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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