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Porto ancora i segni delle tue unghie lungo le vene,
sono ferite di quando la notte non chiudeva mai gli occhi
e l’alba illuminava la brutta copia della realtà,
mentre la tua voce,
dall’orecchio al cuore,
mi raccontava degli infiniti domani
nascosti nel salvadanaio del tempo.
Io cantavo di chitarre e di guerre,
voltavo le pagine di ogni libro incontrato
distillando in poesia quel poco che restava
e poi l’amore,
quello ubriaco da bambini impauriti,
quello del sarà per sempre,
odiato e spiato dal diavolo.
Si perdevano per strada le parole
seguendo gli odori forti della vita.
Insieme abbiamo imparato a piangere
le lacrime delle foglie cadute.
Insieme abbiamo fatto esplodere i sogni
moltiplicandoli in scintille incendiarie
e insieme abbiamo acceso fuochi fatui
davanti alla memoria degli eroi.
Ci sono ancora i nostri miraggi
costruiti nelle notti senza luna,
quando ogni sorriso aveva un nemico
e le attese erano vuoti senza resa da riempire.
Anche gli odori sono tutti rimasti
e risorgono ogni volta
che il vino si trasforma in pianto,
mentre appollaiato sulla guglia più alta
il gargoyle sogghigna
aspettando sempre la sua rivincita.
Hai tentato di lasciarmi,
ma porto ancora i segni delle tue unghie lungo le vene
e mischiati alla cenere
conservo i semi della tua bellezza vagabonda.
Anche se appassiti i capelli,
anche se rallentati i desideri
resti dentro di me in sensazioni nebbiose
condensate in pensieri,
tramutati in parole
e spalmate in poesia con un titolo
che porta il tuo nome: Gioventù. | |
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