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I rami strillano
dove si appoggia
una civetta.
La sera lagrima,
versa la pioggia,
tuona e la getta.
Allor la nottola
canta il suo carme,
la sua canzone
di solitudine.
Non sa che farne
di queste buone
melliflue nuvole
primaverili
dentro la Notte.
Spiega il suo cantico,
l’ale sue vili.
Sorgono a frotte
gli Spettri, gli incubi,
le Villi spoglie,
le Ninfe ignude
sopra i gomitoli
di tante foglie
del verno rude.
Recita il Vivere,
chi in questo giorno
è nato, o spento,
dell’Orbe Spirito
che vaga intorno
folle nel vento.
Non siam che maschere,
occhi di seta,
labbra di stoffa,
labbra di gemiti...
Anima inquieta,
Anima goffa.
Non siam che il cenere
delle sue bare
sotto le croci
di insonni loculi,
di terre avare,
vermi feroci.
Non siam che il morbido
Sogno di teschi,
dal Ciel, dal fuoco
dei scialbi Inferi,
frutti donneschi
d’un tristo giuoco.
Canta, oh mia Nottola,
proclama il vanto
delle tue vene,
della Quaresima,
d’un Genio infranto
di nome Bene!
Sogghigna e lasciami
in questo molle
gelo di Vita!
Pur con te cantano
l’empie Gargolle
L’alba è finita!...
Il fiore il calice
schiude fecondo
in tanto Nulla.
Si inebria il nettare.
Di nuovo, oh mondo,
nasce una culla!
E noi siam condannati a Morte da un
Dio che ci ama. | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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