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«Tutto sommato, nella prima metà dell’Ottocento (ai tempi di Rossini e di Leopardi) Napoli poteva ancora (dopo gli splendori del pensiero del tardo Settecento, culminati nella sfortunata esperienza della Repubblica Partenopea) essere considerata la Parigi d’Italia. Ma c’erano non poche differenze. Stendhal, ad esempio, nel suo "Rome, Florence, Naples", scriveva (nel 1817) che "Napoli è la sola capitale d’Italia; tutte le altre grandi città sono delle Lione rinforzate. " Però a Napoli "c’è più vivacità e soprattutto più chiasso; spesso la conversazione è talmente stridula che mi fanno male le orecchie. " Oppure: "A Napoli un qualunque duca che non ha neppure mille scudi di rendita mi sgomita con insolenza, a causa delle sue otto o dieci onorificenze. A Milano, persone che possiedono due o tre milioni si scansano per farmi sedere. " Oppure ancora lo scrittore francese si intratteneva sul più famoso avvocato di Napoli di allora, don Nardo: schiavo della superstizione, aveva, nella sua anticamera, un "corno di bue immenso, di circa dieci piedi di altezza. " Sono passati duecento anni da allora, e Napoli non ha più quell’importanza, sia pure un po’ criticata da Stendhal (come, del resto, non l’ha più Parigi...) Per quanto riguarda, infine, la pur sbiadita origine celtica, non la si può certo acquisire: è innata, e i Napoletani veraci, salvo rarissime eccezioni, non ce l’hanno, mentre in quasi tutti i Marchigiani del nord (da Senigallia - "Sena gallica" - in su) essa è presente.» |
Inserita il 07/12/2018 |
Il primo fu Rossini: bene o male,
nonostante dissidi e incomprensioni,
riuscì a trarre profitto da quel suo
provvisorio installarsi nella meta
davvero tanto ambita da chi musica
allora componeva; le sue mire
però poi si rivolsero a città
più evoluta del tempo, ed a Parigi,
venerato, trascorse gli ultimi anni.
Vent’anni dopo, Giacomo ritenne,
da amico un po’ cialtrone consigliato,
più adeguata alle sue sublimi doti
la città del Vesuvio, la metropoli
che fascino (fallace) esercitava
su chi da assai lontano la vedeva.
Cadde dalla padella nella brace:
gli insegnò la realtà, in breve tempo,
che è Napoli amichevole davvero
soltanto con chi accetta come lei
di comportarsi, e che non lascia spazi
a chi la pensa un po’ diversamente,
concetto elaborando stravagante
dell’accoglienza e dell’integrazione.
A Parigi anche a lui andar sarebbe
piaciuto: se n’accorse troppo tardi,
quando il denaro e quando la salute
scarseggiavano, e compiere quel viaggio
era ormai diventato solo un sogno.
E il terzo sono io, che a differenza
degli illustri due Semipesaresi,
da nascita so bene quanto arduo
è a Napoli trovare comprensione,
stima, amicizia vera, quando parte
della nostra persona esce dai canoni
della città famosa in tutto il mondo,
quando il pensiero si fa originale
e più non segue il gregge, quando altri
sono i pregi e i difetti ch’esso coglie
in mille e mille cose sulla terra.
Sarà, può darsi, quell’antica origine,
indipendente, fiera, ancora gallica,
pur sbiaditasi alquanto lungo i secoli,
che porta tutti i Semipesaresi
a sognare Parigi come patria
ideale in cui prima o poi approdare
(forse, chissà, sarebbe stato meglio
pure per me andarci ad abitare) . |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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«Oltre a me (ho scritto altre volte che sono pesarese dal lato materno), mi sono permesso di considerare "semipesaresi" anche Gioacchino Rossini (pur essendo nato a Pesaro, aveva il padre romagnolo e la madre urbinate) e Giacomo Leopardi (del quale sia il padre che la madre vantavano robuste e non remote ascendenze pesaresi, e che in una delle sue ultime lettere si mostrava praticamente pentito di essersi trasferito a Napoli anziché a Parigi; il suo amico "cialtrone" è il Ranieri) .» |
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poesia... (Antonella B antoequi)
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