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Gioia, è festa; e sìbila
lo stormo a’ nùgoli
di blande ròndini
che in volo càntano
l’ale agitàndone
per le concèntriche
danze che l’àëre
muove... E cinguèttano
pasciuti i pàsseri;
e picchi e allòdole
qui si concèrtano
in divi càntici
che quasi sèmbrano
òpere mìstiche
le quai a contèndersi
il Sol si slànciano...
Così le strìdule
ma sì festèvoli
voci dei pàlpiti
di piumate ànime
presto diffòndono
or se medèsime
alla mia plàcida
campagna; ed àgitano
le vibranti, èreme
aure e le nùvole
col canto sèrico
che un dì dall’Àfrica
le ròndini èsuli
cotanto apprèsero...
ed è gioia, incògnita
gioia ovunque, e rìdono
co’ i piumati aëdi
i vecchi plàtani,
gli ombrosi fràssini,
e un po’ a sollètico
del nuovo zèfiro
pure singhiòzzano
le fresche ròveri,
e anche sussùltano
i pruni càndidi...
E son ghigni, ànimi
che me raggiùngono
in fuga urlàndomi
i lòr mistèrici
riti di dèbole
Vita. Allòr cèrule
pe’ i campi áridi,
da ripe impàvide,
su’ i fanghi mòrbidi
da’ i pioppi pàllidi
càdono... càdono
di balli in vòrtici,
e poi svolàzzano
foglie che sèmbrano
smeraldi epàtici
o pietre tìsiche,
e vòlan... vòlano,
e il Sol le allùmina,
quasi gradèvole
fa ei la terrìbile
Sorte cui màrciano
spesso ingannàndosi.
Ma quanto spèndide
esse son! Pòvere!...
Verdi ombre còlano,
infatti, e piòvono
tra lòr sfregàndosi
come fan cèmbali
e allegre nàcchere;
e poi si pòsano
dolcemente, oh èsseri!
a terra; e pàrlano
ancòr per àttimi
pria che silènzino
a’ piedi miei.
Intanto làtrano
forse da’i rùderi
delle cascine
i càn famèlici
che di guardia òziano
all’aia... abbàiano
lieti, guardinghi;
e il riso invìtano
vòglion fàr crèscere
per dàr a’ gli àvidi
padròn compenso
pel pane loro.
Gioia inconoscìbile!
Gaudio mistèrico,
e inafferràbile!...
Mentre ne làtrano
i cani, a’ tìmidi
nidi con gèmiti
l’airone pàlpita.
Le zampe pòrgono
un ramo flèbile
in dono all’ètere,
all’invisìbile
ombra sognata
d’una compagna
che non v’è.
E allora il sire
della risaia
in pianto iscoppia;
ma queste làgrime
risate sèmbrano,
oh gioia! Somìgliano
cuori che esùltano
e che festèggiano,
e che ne brìndano,
e che commuòvono
a risa l’ìnfida
Natura. Oh gioia!
E adesso suona
dopo il meriggio
dal campanile
l’Ave, il rosario,
quasi per dire
che Dio soggiunge
a benedire
queste gioiose
creature sue,
e la gioia loro
che invece è assente;
quasi per prèndermi
e dirmi subito
con una pacca
“Sogna!”... Ma sono
in questa gioia
sempre più solo,
e sempre più
or disgustato
di questa mia ombra
che oramai dura
come la luce
del bel Tramonto...
No! No!... tu vattene
seducente Èrato,
inganno sìmile
a me rispàrmialo...
Lascia che io scriva
l’ùltima Pöesia:
l’Ironia! |
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