La terra profuma di un orezzo ipocrita
perché è polvere di peccato, fragilità,
creta che si spacca per l’aridità
che assale la nostra condizione di soffio,
la terra su cui sono impresse
le orme del nostro cammino,
polvere che si perde nella brezza
e si deposita pesante
sui fianchi, sulle curve del nostro paesaggio.

A guardare il cielo incontro invece la preghiera,
che non è ripetizione di parole,
fiume proiettato allo sfinimento
ma servizio verso chi non ha voce, non ha speranza
per lavare i piedi ed asciugarli con in nostri capelli.

Ecco che il tempio risuonerà della nostra preghiera,
risuonerà con il suo squarcio di velo
perché comprenderà che la nostra divinità
è in noi, è presente accanto a noi
non per cambiare il mondo
ma per accompagnarci lungo i viottoli di Betania,
là dove il deserto spera che l’oasi possa apparire
non come segno perché possa credere
ma perché credendo, possa vedere l’orizzonte.