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«Limitandomi all’importanza della forma in poesia, in questi giorni, in cui ho finito di leggere, dopo tantissimi anni, "Per una storia della ricerca linguistica", di Tristano Bolelli, ed. Morano, Napoli, 1965 (libro di cui avevo usato, a suo tempo, solo le poche parti riguardanti un esame universitario), mi sono imbattuto, alle ultime pagine, in una conferenza tenuta a Roma dal grande studioso viennese di linguistica e di letteratura Leo Spitzer nel 1960, l’anno della sua morte. Avendo contemporaneamente quelle due grandi passioni (la struttura delle lingue e i contenuti delle opere letterarie), Spitzer forse non poteva che pronunciarsi così (lo si legge a pag. 582 del libro citato): "Il critico che si volge da un ‘che’ creativo misterioso intuìto da lui nel poeta all’’hic et nunc’ dell’opera oggettiva, diventa egli stesso più razionale. E il ‘raziocinio freddo del critico‘, che per mia gioia Pasolini rileva in me, corrisponde sicuramente a una simile disposizione nell’artista della parola, il poeta, il quale è anche un artefice, che ci fa piangere coi suoi versi, ma non ha dimenticato di contare le sillabe. "» |
Inserita il 24/07/2018 |
L’uomo creò la forma, l’etichetta,
per la parvenza dar di verità
a quello che la mente sua discetta,
mettendo al bando tante avversità.
La forma sembra perfida ricetta
per far tacere le diversità,
rendendo abominevole, reietta,
ogni non contemplata libertà.
(Ma in un mondo nel quale provvisorie
sono tutte le varie concezioni,
la forma forse, senza tante storie,
con le sue artificiali convenzioni
traccia una strada in cui non aleatorie
appaiono le nostre vane azioni.) |
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