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Specchio d’un cièl sì scialbo son miei ócchi
che dentro i nùvoli arditi, i quai piàngono,
l’Anima or qui mi scrùtano. E se il fàr
del giorno non mi spaventa, e se il mesto
aspetto delle nebbie non mi duole,
i Sogni della Notte, però, spenti
giàcciono; e li raccolgo (io) ne’ i sepolcri
destinati a’ i Titani che combàttono
l’ire divine, e i volèr del Destino,
e i fuochi tìmidi e l’ombre de’ i Numi,
e i canti oscuri d’äèdi selvaggi;
ma anche in queste ghirlande ordite e fatte
pe’ i gentìl Desidèri del cuore
che sempre l’Illusione in tempo coglie,
il passo precedendo ogni altra gioia,
quasi fosse che un Fato e il vaticìnio
suo me destìnano a infelicità,
dove Vita è dolore, e parto, e Morte,
e le chimere il bàttito degli àttimi,
e l’Amòr una noia pe’ i visionari
che vìvere di Sogni più non san.
Ora attento qui sento che il cièl piove,
come il pianto perenne de’ i Viventi;
e allòr si inorgoglisce il mio aspro inverno,
e l’onde che han disciolti i freddi ghiacci
alfìn traspòrtano or sì ben lontana
quella che prìa era gelata in mio Sogno,
l’ultima rosa di mia tanta speme. |
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Complimenti, efficacia e capacità emergono. (rita iacobone)
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