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Nasce idealmente sul monte
che sta al centro, sulla Sacra Roccia
che ha visto la Storia, che vede
ora enorme, infinito ai suoi piedi
il mare bianco fatiscente.
Marmo bianco del Partenone,
marmo pentelico, marmo solenne,
risplendi in te stesso e a te stesso tu basti
a te stesso guardi per la perfezione
o, se non altro, ai Propilei compagni
e all'Eretteo ionico, che non perfezione
ma in sé stessi e in te ribadiscon splendore.
In voi stessi avete la vita
marmi bianchi della Sacra Roccia
sulla colata bianca che sovrastate, dominate
che pur non curate, splendete
sul colle che pare al di sopra del mondo.
Da sotto il bianco mare, labirintico, vi osserva;
voi voi stessi ammirate.
Ma al vago turista, al fiero cittadino
che di voi da vicino si voglian beare
abbagliati dal vostro splendore, pur l'occhio
anche in giù andrà a guardare, ed il canto
di quel mare bianco che tu, Sacra Roccia, a ragione
puoi sovrastare
da qui può nascere, qui può iniziare.
Nasce il canto di Atene, al turista affacciato
che osserva, ma solo da sopra, ed un falco
che vola sulla Sacra Roccia, lui meglio
involerà il canto, ch'a lui è concesso
subitaneo da questa spianata divina
in giù cantare.
Nasce il canto di Atene da lui che, per ora
alto il mare bianco di case sorvola
bianche e molteplici e tante e ammassate
e infinite verso Maratona
fermate dal mare blu, che pur tentano
in tutti i modi di circondare.
Nasce il canto di Atene dal falco e in Atene col falco s'invola
giù dall'acropoli verso il labirinto
di case che da bianche prima or non più, ora varie
appaiono, ora diverse eppur simili e sempre infinite
attorno, tutt'attorno la Roccia e ben oltre
fatiscenti, si scende e lo sembrano, sudicie
molte di lor si rivelano, non tutte, varie
lo restano, ed una spianata ed un altro magnifico tempio
sporadico, ed un campanile, nel mare
non più tanto bianco, iniziano
ad apparire.
Scendi, falco, e supera le piante rade alle pendici
della Roccia Sacra, più, falco, non ne vedrai
di piante, ora che scendi alla colata decadente
che tanto vicina mostra ormai piegate antenne e scendi
scendi falco, involati al di sotto
delle antenne, nell'ombra che immensa si apre
davanti, tra quelle due moli che in grande scacchiera
si ripetono ora e si apre, quell'ombra
di vicolo, in mezzo ai palazzi vi voli.
Si apre quell'ombra e si mostra
Infinita e ondulata tra i casermoni sbilenca
e su e giù continua, vicolo stretto, e palazzi
ai lati, palazzi di fronte a coprirne la fine;
macchine, in basso, macchine,
macchine immondizia graffiti attraversi,
falco, e graffiti e cassonetti e macchine e graffiti
la gente in mezzo, a testa china,
fitta anche lei
ma non tanto quanto i graffiti. E osservi
e voli e monotono t'è il susseguirsi,
falco, degli ombrosi vichi, e non svetta
ma anzi è coperta da moli grigiastre, pur resta
una colonna.
Nascosta il canto la deve trovare,
nascosta la deve cantare e una chiesa
di rotonda antica modestia ortodossa
e un'altra, e un'altra, nascoste, costrette
le scovi svoltando tra i vichi grigiastri
su e giù per le stradine strette e i graffiti
un'altra e poi un'altra colonna, un altro
millenario silente inerme crocifisso,
talvolta più gente, talvolta di meno
a testa china avanzano nel mare grigio
punteggiato di Storia
ma avvicinati, falco, ancor più scenda il canto
scenda fino ai loro visi
felici! Sorride la gente, la gente ad Atene
sorride tra i vichi e su e giù tra i graffiti
nell'ombra, che un ombra non è, è scuro effetto.
Il fumo che vien dal bollente rigoglio
di vita, vita unica, vita ateniese
che annaspa su e giù tra palazzi e graffiti e non chiede
colonne ad abbellirla;
le accoglie del tessuto di una città che cambia
caotica fremente controversa ricca in piaghe
ma che freme
e mai, falco, ai tuoi piedi sarà statuaria,
apporterà vita la caotica Atene.
Fugge il canto, ti sfugge, falco, ove solo i piccioni
e i passeri intrepidi osano, tra i vichi e le piazze
si inebria ai graffiti, disvela meraviglie
corre al ritmo dei meandri di Atene.
Tu, sali, mio falco, che non ne fai parte
sdegnoso, che forse non molto ti garba,
creatura del cielo, il molteplice bello terreno.
E lascia le strade, palazzi, colline
t'appaiono or la cloaca bianca, ai tuoi piedi ora il mare
che a piovra, tremendo, s'avanza.
E il Marmo, il Marmo bianco della Sacra Roccia
pur lui il mare sovrasta, pur lui, che a sè basta in splendore
il mare lo domina e sdegna.
Troppo diverso è il tuo canto,
marmo bianco del Partenone
da quello del mare di Atene.
Ma se a lui volgessi, bel marmo, la tua attenzione
vedrai una città che da te non è avulsa, ma ha perso
sé stessa nelle brutte e splendide
meraviglie terrene. | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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