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Dae sa missa mazore a ora e mesudie
sa zente murmuttande falat’in pratta e cresia,
zarrande chin resone contra e sa comune
chi les frascande sa terra sutta e pedes.
Dae oje a crasa, es crara sa minetta
deppen lassare tancas e dominarios
massaios e pastores tottu ghiraos a bidda
papiros chene dolu in manos a prinzipales.
Si pesat’una boche che tronu a manu isparta
cazzandeche su sonnu a sa zente Nugoresa,
Paskedda, a ischina rizza paret’una reina,
trazzandeche fardettas e gambales pro mudare.
Chind’una tettela pesada a ghettu e pandela
an porrogau su sindicu a che frundire s’edittu,
ca sas terras li bisonzana pro aer’ recattu
in custa bidda chi no at’atteru isettu.
A su connottu! jubilat sa tzente,
ca chere torrare a isterrer labore,
non cherene iscubilare dae sas cussorjas issoro
in cust’ereu de omines de gabbale.
Torraos a sa limusina che rimitanu istranzu
an juttu sa tzente che pedulianos,
pariana chi esserene remuninde s’anzenu
invezzes fin pedinde pezzi sa roba issoro.
traduzione
Dalla messa solenne a mezzogiorno
escono i fedeli sulla piazza mormorando,
con ragione imprecando contro il municipio
che gli scava la terra sotto i piedi.
Dall’oggi a domani, la minaccia è palese,
devono lasciare le tanche e gli ovili,
contadini e pastori senza domani
e le carte danno il passo ai notabili ladroni.
Si alza una voce come un tuono improvviso
scuotendo in un’attimo il sonno dei Nuoresi,
Paskedda, impettita e fiera, pare una regina,
trascinando donne e uomini nella rivolta.
Con una sottoveste issata come una bandiera
chiamano il sindaco che stracci quell’editto,
perché le terre servono per vivere
in questo borgo che non ha aspettative.
A su Connottu! grida la gente,
vogliamo solamente seminare i campi,
non vogliamo lasciare i nostri ovili
siamo una genìa di uomini dal cuore fiero.
Ci vogliono piegare alla miseria,
come servi umiliati a mendicare,
pareva che volessimo rapinare l’altrui,
e non per avere quello che era nostro. |
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