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Dio o il diavolo li fece,
asini e uomini viventi
gli uni accanto agli altri
nel cupo fondovalle del bosco,
i primi a portare sul dorso
la legna mozzata dai secondi?
Occorrerà mai un diversivo
per placar la sete di lavoro,
imposta ma non desiderata,
che fa tollerare la fatica,
gli stenti e le foglie marcite
senza il rimedio d'un esito?
Pioggia che cade ininterrotta,
alternata a raggi di sole
ch'infierisce su comuni schiene,
di questo vogliamo non tenere
conto? Non c'è soldo che aggrada
una schiavitù già dichiarata.
Sotto ogni colpo di bastone,
galvanizzato dalla carota,
l'asino non si domanda perché
spinga calessi tutto il giorno:
gli basta un pasto preparato
perbene col comodo giaciglio.
Non così l'uomo: contraddizioni
si contendono il suo cervello,
dubbi e rancori gli salgono
dallo stomaco ai neuroni...
c'è un potere a comandare
le disgrazie di un boscaiolo?
Messo a dormire nella stalla
il compagno di tetre mattine,
il taglialegna di malavoglia
consuma una frugale cena,
martellandosi cuore e mente
su diseguaglianze e abusi,
sulla ragione dell'esistenza
di disparità fra simili che
non da fratelli si comportano,
togliendosi il pane di bocca
e bevendo bicchieri più aspri
dell'amarezza che si scambiano.
Cosa importa al quadrupede
di quel che nasconde la manica
del potere (mal) costituito?
Sarà pur fra parentesi, vero,
ma rimane un dialogo fermo
sul fulcro della nostra crudeltà.
Conta forse la stoffa di raglio
o d'urlo? Entrambi si raccoglie
un mesto seme avvelenato;
ma se loro cavalcassero noi,
non in guerra ci porterebbero,
ma sui pascoli più nutrienti. | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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