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A te, última rosa di mia estate,
che come il Sole splendi lungo i monti,
giovane e fresca più di alpine fonti,
che canti il madrigale della gioia
di mio perduto giugno, quando sbocci
lieve e in fiamma, e all’alba, rossa, aulente,
profumata di cera d’Orïente,
a te, última rosa di mio Fato,
nel segreto del vespro in bruta ansia
canto. E il nulla che sta dinnanzi a me
non ti riporterà se non un’eco,
montagna bella, e cara, con la pietra
millenaria e il cristal di neve, l’etra
che seppellisce sul nascere questo
insolito füoco, o rosa mia,
rimasta viva nella Pöesia.
Ricordi?... Era il mezzodì, e le cime
da lontan brulicavano di ghiaccio,
il superno dominio dell’inverno,
indistruttibile, immortale, eterno;
e tu, rosa, eri lì, sopravvissuta
alla bufera omicida di tue
sorelle, le compagne dell’estate
nel roseto che andava solitario
a profumare questa valle intera.
E tacque il cuore, o Sole, ora perduto
che mi hai fatto gustar la gioventù,
quando io miravo la direzïone
sul San Bernardo d’antica legione,
Hannibal che passava infurïando
con gli elefanti, i mostri del deserto,
e l’imperiale titanico serto,
e re Carlo che scese per la guerra
rapendo a sé questa italica terra.
E con te camminai sui loro passi,
sulle orme secolari fatte épica
d’Eroi e di cavalieri, presso le ombre
dei più remoti castelli di orgoglio,
laddove in altro tempo i miei compari
Trovatori cantavano di te,
rosa mia, Sole, di mia giovinezza,
con l’arpa che tuttora il ciel carezza.
Ma mi mancava il lor coraggio. I prodi!
E con te proseguii su’ i biechi, órridi
speroni del Titano della Corsica,
il console perenne che ambì al trono.
E fu felice?... Morì esilïato,
e tal son io da te, o fiore perduto.
Udii trillare i fucili del Destino,
e il mio cuor ne cadeva al suol, supino,
ferito a Morte, per sempre. E ch’io feci?
Lo volli maledire... questo Fato
che scherzando e pungendo e bestemmiando
univa Sogni impossibili ai fiori,
e a’ stelle tutte, e mi fece incontrare
per un’ultima volta il guardo tuo,
rosa di gioventù, o Sole, o montagna,
quand’io anche ti rimembro in mia campagna
da te lontano ormai perpetüamente,
laddove ogni tuo petalo è assente;
e il canto mi è di sfogo... Sfogo. Grido!
Per dirti quanto ti amavo e tacevo,
per far conoscere a Dio un sacrificio
sublime e mesto, temerario e improbo,
un olocausto che sen va ben oltre
le vittime di Hánnibal, di Carlo:
a te rinunzïare, o gioventù.
E non provai nemmeno a rifermarti,
a richiamarti indietro, udii vergogna,
o rosa, e tacqui, tanto urlar sarìa
pur stato vano, baciar, farti mia,
e il Destin per cui nacqui ebbe il suo corso,
donde io stillo pur sempre un mio rimorso.
E fu il meriggio. E poi giunse la Notte.
Ricordo! I lumi del tramonto alpino
illuminavano i tuoi occhi di fiore,
il tuo crine di petali leggiadri,
il volto tuo scolpito da Natura
perfettamente, e il tacente roseto,
dove l’unico fosti, un fior rimasto
tra l’argento di brine, e l’oro e il fasto
dei cristalli di neve e i ghiacci eterni,
e il labbro e l’occhio mio stavano inermi.
Con te guardavo una baïta antica,
dove il beffardo Córso ebbe il ricetto
per la Notte in cui fu a varcare l’Alpe
immane del San Bernardo, e dormì
ivi su’ un letto di paglia e di fango,
eloquente Anticristo nascituro
nell’etere montano ardito e oscuro.
Ma a che bisogna éssere Titani
e più malvagi se si vuol sfidar
il Destin tutt’intero, e le barriere
che questo Fato oppure Iddio ne pone?
A che ghermir con la possa, ora un nome,
ora la gloria, qua pianto e là Amore?...
Dimmi, o mia rosa, mio Sole, perché
chi osa, conquista e chi è umìle si acquieta
riconoscendo polvere i suoi Sogni,
null’altro che menzogna le chimere,
nient’altro che ombre i sensi delle sere?...
E nel tramonto piangeva il mio cuore,
segretamente, avvolto in questa cura,
sopra le vette e la possente altura,
con te d’accanto, dovunque, al mio fianco,
soffïando come arpa di Óssiän
sugli spiriti di ogni invitta schiera,
rosa di questa valle... dolce valle,
dove sognavo, condurti là, all’arco
de’ i trïonfi di un Cesare, e là, al buio,
sotto l’immensa volta, posar mio
volto sopra una tua spalla di fiore,
e per un solo áttimo di Amore,
rapirti un bacio... un bacio a te soltanto
che il Sogno non può dir, nemmeno il canto;
e da lì contemplare quel Crepuscolo
che era selvaggio e anche incontaminato
con le sue rosee tinte tra le faüci
delle montagne, vederlo in un quieto
abbraccio. E il Sogno fu. E venne la Notte.
Perché, o Dio, mai non posso amar, sognare,
essere giovane, e felice e lieto,
e cogliere la rosa che incontrai
oltre ogni umano senso dell’onore
e di ogni orgoglio; e dir «Ti amo, oh rosa!»,
far vero il frutto del sonno irrequieto,
oltre ogni solitario istante mio?
Perché... perché mai, dimmelo, oh tu, Dio!...
Perché Tu ti diverti a porre a’ miei
passi da sempre impossibili fiori,
per cui nemmen la Fede mi è d’aiuto?...
E taci... come hai taciuto allorché
Hannibal ne varcava l’Alpe in guerra,
e Carlo cinse la corona ambita,
e il folle volle il mondo nelle mani.
E taci... sempre, eternamente muto,
e so che esisti e che regni sul Fato.
Ma non capisco più questo silenzio
che per Amore mi par fatto assenzio.
E tu, mia rosa, non saprai mai... mai
qual furïosa battaglia ho nel cuor,
tra impavidi rimorsi e pianti osceni,
i Titani si sfidano tra’ Spiriti
di quest’Anima mia che sogna e spera,
mentre soggiunge sì svelta la sera.
E tutto fu sepolto dalla Notte...
mia gioventù, non resta che la Notte.
Ma è un regno troppo oscuro
per essere compreso. |
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