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Le mani sugli zigomi contratti,
sorreggo il mio viso che cade,
scivola in un volto anonimo privo di lineamenti,
sento il tepore che rilassa la tensione muscolare,
mi sciolgo sul palmo che protegge e sorregge.
La mia anima cola sulla linea della vita,
seguendo il solco tracciato dal destino,
sul legno della gioia e della sofferenza.
Riavvolgo il respiro e cerco un senso
al desiderio di vivere,
non c’è paura,
non passione inquieta,
solo respiro che ritorna e si ascolta,
e tace,
per poi riprendere
inevitabilmente artigliato alla vita.
Conto le dita dei piedi,
e riduco lo sguardo allo spazio intermedio,
alla distanza che separa,
che si fa punto indefinito di un’altrove analogo,
mi immergo privo di suoni
ma pieno di ricordi,
a risalire dall’ombra,
dal nero che giace nella stanza nascosta.
E grido in silenzio per ascoltare il dolore,
scelgo il coraggio
attonito del sole che illumina il giorno,
incapace di arrendersi al ritmo,
all’oscillazione del pendolo,
che percorre lo spazio e ci inganna sul tempo.
Un giro di blues mi raccoglie
lungo sentieri perduti,
perduto nel seguire il sentiero,
reagisco al movimento che provoca la formica,
a varcare la soglia del punto
per seguire la linea,
di una sua vita o della mia,
e cado nell’oggi colpevole naufrago,
strappato a pensieri astratti e distorti,
crudeli nella loro lontananza fatta di tinte pastello.
E’ il tratto,
la pennellata che accenna all’assenza di forma,
che ti lascia all’impressione,
il senso scomposto di un solido irreale,
che ondeggia tra Platone e Monet,
a tinteggiare la luce troppo piena di colore.
Con la pupilla accecata dai profumi del giorno,
torno a guardare i miei piedi,
mi alzo e riprendo a seguire i miei passi,
a spingere lo sguardo oltre la linea,
sotto il peso del mondo. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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