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Così il meriggio passò del mio sabato,
per le vie del päèse avvinto in festa,
co' il sudore di campi e di foresta,
e pe' il vïàle della vecchia roggia,
dove le ali delle ànatre si appòggiano
nelle onde remigando, e chissà dove;
e (ei) trascorse mellifluo, lungo ottobre,
tra caldarroste che còstano poco,
con il tramonto e il Sole- mangiafuoco,
con i ricordi delle vecchie sciùre,
e le attese irrequiete delle fiòle,
e i fanciulletti ridenti a saltare,
l'infanzia mia perduta che io so urlare.
E ora che scrivo e penso, sento ancora
le chiàcchiere fugaci presso il vino,
le gioie sincere di un quieto bambino,
fumàr davanti a me i camini e i tetti,
e dalle calde pèntole l'odòr
alzàrsi della panìssa che bolle,
e la polenta, e una stirpe affamata
che al desco invìta e figli, e padri e amata,
a rimembrare il tempo contadino
che fu, quando la fame era vorace,
e la Natura co' il ciclo suo andava
a salutare nozze, tombe e culle
tra i canti di campestri fanciulle,
quel tempo che i vegliardi mi ricòrdano,
testimòni degli anni come vecchie
radìci di alti faggi, e come pietra
di montagna, scolpita da tanta ètra.
Fu il giorno della festa e della fiera,
il sabato ridente di una sera
che lentamente preludia a novembre.
E forse io vidi sol màschere di uòmini
felici, larve che sotto e nel profondo
nascòndono soffrènti Ànime esauste,
che pùr fìngono amori e dìrsi amiche
presso le bionde e coltivate spiche,
e che domani tornerànno tosto
alla fatìca e al patimento interno,
segno dell'Uomo deciso in eterno.
E ora, come se ciò non mi bastasse,
mi ricordo che màncano due giorni
al primo novembrino, il dì dei morti. |
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