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Canto è la Pöèsia, vìscere e cuore
che in armonìa si fòndono voraci,
tra trilli, accordi, e Sentimenti e baci;
e questo canto è puro, e non ha il fìo
di nulla, ché egli procede sol da Iddio.
Cantò l'äèdo sulla cetra d'oro,
cantò d'Achille, di Ulisse e d'Enea,
e Male, e Bene, e Guerra ne pingèa,
e cantò di Didòne e di Penèlope;
e il ràpsodo vagante il Fato urlava,
fu il Trovatore al veròn della dama,
svisceràndo il suo affetto e la sua fama...
e cantava in su' un fàr di passacaglia:
il duolo e il senso, ermo e la ferrea maglia.
Il bardo compiangeva il vischio oscuro
con occhi cupi di orbo lupo e bruno,
e tra le vette tedesche e di Stiria
udìr facèa l'urlàr di una Valchiria;
facèa sentìr le làgrime ansimanti
di Brunhìlde e di Ondìne singhiozzanti.
Non fu canzone! Ma il Pöèta andava
a percòrrere i nembi del Divino,
con un canto che parve messaggero
d'eterna Vita e di perenne Amore.
E ora che il tempo è sepolcrale e nero,
così è giunta la voce del Destino:
fàr della Pöèsia úna canzone!
E il vìver d'oggi sarà il ritornello
d'un Uom che muore con il suo fardello.  | 
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