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Come uno schèletro in Alpe lontana,
e tra le nere pietre e scialbe fonti,
e trasparenti onde di dèbil ghiacci,
come un teschio di pàllido Titàno -
ei! il tracotante uomo di Riesenheim
a Wòtan un dì avverso - e
tremolante alle nubi e spoglio e ignudo
giace l’abète solitario e lùgubre,
ei, che è miseramente consacrato
ai nascosti misteri della Notte,
con i suoi lunghi rami, braccia irsute
che ghermìscono l’àëre dei vespri
e le lanterne selvàtiche e argentee
della Dea- Luna,
e con i suoi occhi di legno funèreo
che tanti... e tanti scrùtano pur lungi,
vecchie cortecce non altro che buone
per i falò e per i Sàbbath ferini
delle vegliarde Streghe del Nord. Qui
a queste assenti foglie,
le Norne quando vièn la sera bruna
spettrali sorgono, e van... vanno a tèssere
su ogni arboscello l’arcano Destino
che Erda ha segnato alle sue vane proli,
dove quel che è finisce,
e anche l’alba tramonta,
in ripetuti istanti di sepolcri
e di culle piangenti, e di stagioni,
scorre la Vita, trascorre la Morte,
‘ve il Nulla si ripete ricambiàndosi
le molte màschere;
e così tutto la Notte ha sepolto
in questi suoi vòrtici...
Non rimane che un àlbero.
No! Non interrogàrlo, oh pellegrino!
Muto mai ti dirà i suoi vaticini,
e il tuo avvenire, e quanta tela di un
ragno han tessuto le tre Figlie di Erda
per la lunghezza del tuo respìr d’uomo,
e per il Sole dei tuoi ignoti giorni,
e per la Luna delle Notti insonni,
per dare tempo ai sassi di scavàrti
la fossa estrema.
Sappi che c’è, e che vorace ti attende, e
con lui, è un bacio di Dio! |
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