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O àër, sospìr di Temporàl fuggèvol,
lento stormo di fùlmini errabondi, i
qual per cerulèa assenza di una meta
indefiniti vagano tra i nùgoli,
così tu, mentre leggero - ei - percuote
l’orbo spettro del vento i rami intorno
e gli estivi fogliami e i campi e i fiori,
ad alluminàr tu - tu! - vai i miei più pàllidi
orizzonti, e il mio senso che si volge
oltre le ombre tue, e lungi... lungi, in vêr
le alte e sublimi vette di montagna,
ove presto io sarò; e indi, tu mi culli
e mi paschi di un non so che di Incògnito,
tu, sguardo della mia medèsima Ànima,
tra i tuoni dei miei pàlpiti del cuore,
e le fòlgori estinte del mio più
vivo sognàr, cosicché io dica ai faggi,
e ai pioppi scialbi di malattia sana,
e ai bei castagni che pòrtano il feto
del frutto dell’autunno, e al dolce legno
delle ghiande dei mieli delle querce...
sì, cosicché io proclami, ovunque, e a Ignoto,
per ogni via, per ogni sentièr, per
l’ôr delle rive inumidite e terree,
che il mio nome è Tempesta, il mio cuor Tùrbine,
che io sono come te, àër vagabondo,
e che pur come te, mi è sempre splèndida
la Vita. Ma così presto si estingue,
come l’incendio di un fùlmine in cielo,
ciò che mi fa diverso e che mi fa uomo,
il retaggio del Sogno,
l’eredità del pianto.
O àër, sospìr di Temporàl fuggèvol,
lento... lento, su’, dimmi... di’, e rispòndimi:
se sia l’Eterno la tua ìride ardente,
se sia Finito, o se sia tomba ignuda,
dove tu vada e dove ne andrai un giorno,
se tu debba tacèr al mio gridàr.
E viene così presto la quïète
a fare tramontàr nel vacuo dì,
la tua orma, impronta di caccia, àër mesto,
e questa tua säètta che mi è sera
per l’Ànima sognatrice e incantata?...
E dopo tanto, la gioventù e poi
la vecchiaia, vièn così svelto e orbo il tèrmine
dei lagrimati Sogni,
dei rivissuti pianti. | 
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