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Canta, fanciulla... canta, il madrigale
della perenne sera a questo fàr
del crepùscolo invitto, vespro di un
bronzo che suona una preghiera estrema!
Canta, oh tu donna, alma ombra di queste Alpi,
prìa che il silenzio seppellisca il labbro
tuo, che ancora non sa cos'è mai un bacio;
Donna, oh tu, di sepolcri e di mia insonnia!
Notturno cranio il Destino lamenta,
teschio di un corno che al vento si dòndola,
e sorgon... sorgon l'ombre, lente e oscure,
nebbie esse o forse Spettri urlanti de' i
trapassati di un dì di caccia in febbri
di cervi, i cacciatori della selva,
ululanti ululati di un Unno,
l'orso selvaggio che non cede e uccide.
La nonna a un fanciulletto lo racconta,
prima del sonno dello stolto bimbo,
ella a memoria sapèndolo, e urlando:
nessùn tornò dal cacciàr; e i sepolcri,
bambino mio,
hanno annientato le ghirlande prime
intessute in su' i salici
de' il funerale... E il fanciullino piange,
e grida... e grida... e si guarda d'intorno, e
trema... sbadiglia... e ha päùra, ma il sonno
suo ha il braccio che è il più forte. Va'... va' all'incubo,
miserando piangente, umana schiatta,
stirpe di vermi incoscienti che sognano!
Chiome di querce impèndono le nòttole,
più che impiccati su' i spini di Giuda -
ombre con bassa testa e ghigno fiero -
tre presagi di Morte, l'ùltime tre sere,
quali le Norne. Oh! Eh! Fu il primo güaìto,
e l'ombra viene della Notte nera,
strega del Ghiridòne, con la sua
Luna, e con i tormenti di un corvo. Oh! Eh!
Civetta canta il secondo güaìto;
e seppellisci i resti ignudi de' il
legno del pescatore, e il freddo Toce,
cimbe di schèletri, oh
Tu, oh nuova Lorelei, oh la Incantatrice
che dòmina le Posse de' il Vivente!
E fu il terzo güaìto! Ombra risorge
della antica sua caccia, corno oscuro
che sempre cola sangue lunàr, scialbo,
con un tuono di argento invalicàbile.
La nonna medèsima ora... ora trema,
presso la culla, preferita vìttima
dell'ùltimo anèlito di Natura,
germe il neonato avvelenato da un
Mostro che non si vede. È Morte!... È Fato!
Guàltier... Guàltier, pietà... oh cacciatòr! Tomba
di una insepolta e funesta ombra lùgubre,
Tu, che lasci l'Altròve... oltre le terre
che custodìscono il muto tuo cènere,
abbi pietà! Oh tu, Guàltier! No... non è
giusto che un bimbo soccomba, ei sognando
il glàüco e materno e dolce latte,
seno tra Villi conteso e sprezzato!...
E tu cuor mio, non ti addentràr in questi
arcani della Notte e nella tua Ànima,
bara perenne dei Sogni tuoi, e salice
che le ghirlande intesse alla tua insonnia,
Coscienza inquieta tra un fuoco di Vita
e una bràge di Morte, e viva pioggia
di tanti affanni; lì, dove la selva
della nòttola tua si annida triste!...
Le fole, le leggende, i miti... saghe
visïònarie del tuo Desidèrio
eterno. Non indagàr questo Male, e
Lascia alla Notte le immense sue vie.
e sarà presto l'alba!
Canta, fanciulla: il bimbo è morto... è spento!
L'infanzia incrèdula
discende nella bara, e lì tramonta,
con un ditino irrigidìto a un labbro,
pìccola salma scomposta tra due assi
di nocciòlo, e coperta da un velame,
mortuario feto della dèbil Vita.
Güaìsce il trotto delle prime foglie
che sìbilano al vento dell'estremo
inverno, scàlpito eterno di Furie.
È la caccia stregata: gli alàti elmi
di cacciatòr fantasmi pòrtan qui
i sanguinanti trofèi, e dopo vanno
novellamente a dormìr nel lor Nulla...
perché Nulla è la Notte che si sperde.
E verrà svelto il dì! |
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