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Ce l'ho fisso il Natale in una nicchia
incastonata al cuore,
ed è come un presepe
spento per tutto l'anno
e si riaccende
in questi giorni d'avvicinamento.
Ed è il Natale
dei miei lontani giorni
a Barberino,
tempi di guerra, poco per nutrirsi,
scarsi i vestiti... cappotti rovesciati
riscaldamento... a brace, lo scaldino!
Che freddo imbrividiva
nell'invernale neve
in un paese sotto l'Appennino!
Ma il bambino dimentica la guerra
il freddo, la miseria, lo sconforto,
se il giorno di Natale quella stanza
la cucina economica riscalda
con ciocchi di legname a tutta fiamma.
Fumano i cappelletti a mezzogiorno,
la tavola è imbandita come a reggia
ed i bambini attendono soltanto
la sorpresa finale: ecco il panforte!
Mi ricordo che sempre lo svolgevo
e godevo al sentire lo scrocchiare
del foglio argenteo che lo conteneva,
i bambini... era tutto un gran gridare.
Cerco ancora un panforte come allora,
coperto a mano con l'antico foglio,
ora a macchina solo è inscatolato,
e più io non lo sento mentre scrocchia...
Ricordar ciò mi reca tenerezza
ed una gran malinconia nel cuore.
Ma gli altri dove sono, mi domando
ch'eran con me alla tavola imbandita?
Dormono tutti il loro quieto sonno
dispersi in cimiteri anche lontani,
lo scoglio han superato della vita...
ed io sono rimasto a ricordare. |
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Questa poesia è pubblicata sotto una Licenza Creative Commons: è possibile riprodurla, distribuirla, rappresentarla o recitarla in pubblico, a condizione che non venga modificata od in alcun modo alterata, che venga sempre data l'attribuzione all'autore/autrice, e che non vi sia alcuno scopo commerciale.
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«Scrivo questo ricordo, che non potrà essere forse definito poesia, dato anche l'altalenante cambio di stile che non mantiene precisa struttura.
Ma si può sempre incatenare il ricordo in una struttura metrica, e qualche volta non è forse lecito seguire l'onda tumultuosa delle memorie e lasciare da parte la tecnica?
Se qualcuno non capisse il significato di “cappotti rovesciati” sappia che allora l'indispensabile cappotto, quando era liso e consumato... veniva, dal sarto o da qualcuno della famiglia che sapeva cucire (e allora ce n'erano) rovesciato, e sembrava che fosse tornato nuovo!» |
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