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In un tempo da noi tanto lontano
sedeva sopra il trono d'un paese
nella sua reggia un re, grande sovrano,
ricchi quegli abitanti e niente spese.
Non pagavano i sudditi le tasse
che sull'istante furono abolite,
dei cittadini fe' una sola sola classe
e tutti erano eguali... udite, udite!
Non v'eran tribunali né prigioni
poiché nessuno agli altri mai rubava
in quanto non ne aveva le ragioni
poiché ogni necessario gli avanzava.
E tutti rispettavano quel regno
che non voleva della guerra... il dono
e che cannoni aveva, ma di legno,
per mostrarli la festa del patrono.
Ma ahimè, a un comitato più non piace
essere tutti ricchi e poco fare
per cui stancati in questa grande pace
questo stato lo vogliono cambiare.
Crescono diventando una legione
e prendono lo scettro del comando,
quel buon re essi mettono in prigione
e nuove leggi sull'istante fanno.
Finalmente hanno modo brontolare
i sudditi per tasse tanto forti,
ora potranno tutti protestare
poiché riceveranno grossi torti.
Subito si fa guerra col vicino
ed i viveri sono razionati
per cui il suddito arriva al lumicino
e pochi invero restano salvati.
Le prigioni son piene di persone
che protestano contro il nuovo stato,
dalla galera fanno opposizione
finché ciascuno viene imbavagliato.
Di tale Stato il nuovo presidente
s'affaccia al suo balcone inghirlandato
ed alla folla urla: “Brava gente,
il re l'abbiamo alfine imprigionato,
lui ci aveva donato una gran pace
che non ci permetteva brontolare,
e finalmente giù in galera giace,
adesso noi possiamo litigare.
Tasse io vi prometto a non finire
e riapro all'istante le prigioni,
adesso non dovrete più patire
per lo star bene, emeriti coglioni!
Il popolo osannante gli fa festa
e l'applaude in scroscianti battimani,
e al povero poeta qui non resta
che di adeguarsi... e battere le mani. |
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