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Erda ha giurato: vendetta sia! E fugge,
Erda, alle nebbie svanendo nella Notte. E
qui Ygdrasìl trema oscuro e inferocito,
e le alte fronde del Fato son ombre,
lì, tra l’argento della Luna impura, oh
quercia, sotto cui si radunano i lupi, i
famelici Orchi della sera invitta, e
manti di Morte affamati di ragne.
E qui segretamente e lento rugge,
ei, il Regno del Destino, e alle sue grotte
ogni Norna lamenta. E l’infinito
aëre delle Furie, ei, orrido e informe
va. E fuori il cielo sempre più si oscura, e
domina i monti, e i valichi, e i dirupi.
Ogni Elemento danza una sua ridda,
e l’orizzonte fa eco alle sue lagne.
Erda, Erda è Spettro che vaga ululando,
e alle sue cure paziente provvede,
Erda, la Dea invidiosa. Oh la Ribelle!
Ed ella avvolta in Tutto va pensando,
e qui terribilmente più non cede, e
delle Valchirie vuol forse le selle.
Così lenta vien l’alba, e il nuovo giorno!
Tenebre fitte s’aggìran d’intorno.
Ora, mentre la Notte s’abbandona
a un mattutìn riposo, e dorme, e mentre
il primo Sole dà un bacio alla Luna,
e intanto che Ygdrasìl esausto trema
con le sue foglie in preda alla rugiada,
e quando tra le sue onde splende l’oro
del sacro fiume, specchio della stella,
tra gli Gnomi custodi, ebbri di vino,
Freya a uno scoglio si siede; e all’acque dona
un suo sorriso, un sospìr del ventre
che il seno muove nell’aurora bruna.
Ed è un sèn che non sa l’empio anatèma
che Erda gli ha ordito, Erda, la Dea sprezzata;
e che bello si erige, scialbo, e moro
dove un dì sarà il latte. Oh Freya, la bella!
Ed ella è Vita, Infinito divino,
e specchiàndosi a un’onda, ora innocente
si pettina i capei con la conchiglia
che in mano tiene: lì i riccioli biondi,
e qui le trecce presso le orecchie
che come baci scendono alla gola
solleticandole il corpo che ride,
e qua, lisci alla nuca, e ora là, dietro
il collo a ricoprirsi un po’ di schiena, e...
e una ciocca alle spalle. Oro... oro... e Sole!
E le pupille azzurre sulle viole
presso una riva si posano, amena
Dea di Bellezza e Gioventù. E sul vetro
delle sacre acque, ella, il suo sguardo incide,
un volto che nel vìver si consòla;
e lungi scorge gli scogli e le vecchie
foreste antiche, e in ciel i vagabondi
rondoni inquieti. E ha bionde ciglia,
nuda e selvaggia, qui, innocentemente;
e annoda ai fianchi un drappo falbo e intenso,
a ricoprirsi il femminino senso.
Oh mai veduta beltà, e mai Dea attesa!
E mai cantata giovinezza e donna!
Ella sta muta, e accarezzando il crine,
e poi solleticando il fianco, trae
le gambe sullo scoglio, e i piedi appoggia
dolci sul Reno, sensualità casta,
e con lor dita arpeggia l’acque fresche,
e canta le canzoni delle Ninfe,
un giorno prima apprese; e sotto i rai
del Sole vive, e le Ondine ridesta.
Tiene i capelli, e non lascia la presa,
e ride verso la pìccol sua gonna,
e ammira le lontane e bianche cime
dove l’attèndon gli Dei, e protrae
a queste il canto suo, rorida pioggia
d’insolite ansie; e ignora la nefasta
Sorte, e le Norne, possanze donnesche.
Ed ella sola tiene alle sue grinfie
il corpo suo, e ora scherza. Lorelei
canta con lei, e l’invita a fare festa.
E Freya la segue, e qui cantano insieme,
e l’orizzonte si apre alle lor voci e...
e Freya cantando soffia aliti caldi
alle sue braccia e agli zefiri primi,
desiderosa di Vita e di gaudi; e
desiderosa di Vita e di gaudi
ell’è dassenno, coi sguardi sublimi,
col sensuale torace, e i sembianti alti,
labbra assassine dei venti più atroci,
e ricca di Bellezza, e poi di speme. Oh
desiderosa di Vita e di gaudi!
Ora le Ondine vanno alla sua cetra,
e le pòrgono i seni, e i ventri e gli occhi,
e come Lorelei, càntan con lei.
E questi suoni sentono gli Dei,
e codesti soävi e bei rintocchi,
e allor un Messaggèr màndan dall’etra.
E allora un Elfo scende, e va sul Reno,
e fulminato vièn da questo seno.
Ei si presenta alla Dea e dice poscia:
«Vieni con me: gli Dei ti vòglion presto,
e a te son io mandato. Sali ai monti!
Scherzerai dopo con queste Sirene;
ora sèguimi, andiamo. Ecco una veste!»;
e detto questo ei le dà un peplo e un drappo,
e poi le mostra le valli divine:
«Lorelei, oh Lorelei, canta per lei
che tra di noi festosamente inciela!».
E Freya lo ascolta, e il collo, il sen, la coscia
febbrilmente ricopre. Oh peplo mesto!
E con quest’Elfo sale agli orizzonti,
e invitte ha nel suo cuor le giòvin lene,
e guarda e ammira le tetre foreste.
E intanto l’Elfo gode e beve un nappo,
Messaggero fatale, al ber inclìne.
E così Freya a conòscer va gli Dei.
Ahi qual sciagure non sa, ahimè, costei! |
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