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E tra le foglie che son secche, e i scialbi
pioppi dei qual io ascolto e il fio e il sospiro,
e l’erbe morte, e i fiorellini falbi,
cere convulse dell’Autunno, e il tino
delle vendemmie che cantano a un monte,
e tra le nebbie dov’io ora m’aggiro,
e lungo il cupo e ingrigito orizzonte,
e la campagna spoglia e i rivi asciutti,
e gli sterpi dei campi, e verso un ponte,
e udendo i bronzi suonàr: e a ombre e a lutti;
e addolorando il cuor, e alzando prone
le mani al cielo e agli ultimi suoi flutti
scorgo: a una riva con la sua canzone
un affamato e cinereo aïròne.
«Osi tu urlàr, oh peregrìn dei faggi,
e chièder pane a questa terra spoglia,
e a queste paglie? Tu, inquieto dei maggi
dolcemente trascorsi, e a questa foglia
volèr un sorso di un’ultima Vita,
tomba perenne che a te si condoglia?
Tu, che non sei che un cuor che all’infinita
Morte dei salci e dei miei sogni or canti,
e che mi scruti, iride indefinita,
tu, tacita ombra e spettro, verrai avanti
a chièdermi una brìciola, o il tuo Fato?
Tu, che tremi pei bianchi e terrei manti
lo sai? Che quest’Autunno è intemerato?
Oh Animo oscuro che procedi guato!».
E sulla riva l’uccelletto piagne,
e non so se abbia nidi e se abbia prole,
e il suo grido percorre le campagne.
Or l’Autunno dà addio all’ultimo Sole,
e sul mio volto vièn presto la sera,
il crepuscolo roseo, e nubi viole.
Sento che trilla una mesta preghiera,
e il cuor m’intenerisce, e qui il fogliame
che cade mi commuove. E alla riviera
vicina al cascinàl, cui pietra è in rame,
quest’aïrone ancor m’appare. E chiede
grano alle querce, egli, instabile ossame.
«Oh tu, tu aspetta, ché nulla succede: e...
e i miei sogni saranno le tue prede!» |
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