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Saliva per dolcezza alle radici
un grumo di mistero dentro agli occhi,
qualcosa che già ha avuto voce
nel pianto dentro il sonno, in quello breve,
come il centro di un canto che si snoda
da quella buca grande che scavavo
nei giorni lunghi della pachamama
con l’unguento di erbarenna, a piene mani,
ponendo le pietanze con le foglie
e, in cima, le più belle pietre dell’estate-
lasciando che soltanto con la luce
il corpo si schiarisse, a suo riposo.
Nella piega della bocca rasoterra
sussurrava che Dio ti benedica,
bevendo l’aria in pieno sole; appena
un fil di fumo scendeva dalla schiena
benedetta nel cuore della pianta,
tutto l’amato e tutto un cedere d’amore,
a Ferragosto -
un compito diverso di preghiera
un abbassarsi a un’altra lingua, a quasi nulla-
sulla montagna imparata in Argentina.
Come a passo di cervo nella gola
ritorno nella buca sul mio cuore
con la stessa età che ha una luna,
e lo stupore di un guerriero scalzo
a fior dell’acqua. Nella terra molle
tutto accade sottovoce-
perché il nostro peso sia leggero,
perché la pietra, appesa al collo con le rune,
diventi un aquilone al bosco vecchio,
dove l’aria sostiene le mie gambe,
fra le cadute e il volo- nel risveglio,
con le nostre antiche dita in mezzo ai frutti,
come fossero parole da ripetere,
da ripetere lucenti sulle mani,
dove affondano invisibili radici
dove culmina ogni volta la vertigine,
nel grumo di mistero dentro agli occhi. | | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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