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Mi sei caro tremulo crepuscolo,
magico fautore d'esuli pensieri.
Stanco cala il sole rubicondo
fra i ruderi di case abbandonate,
rischiarando coi suoi pallidi raggi
l'ameno borgo sul vermiglio colle.
Giunge a me il suono di remote campane,
mesti rintocchi a memoria dei morti.
Battiti secchi, costanti, latori
dei miei oscuri pensieri improvvisi.
Svanisce la dolcezza della quiete.
Mi perdo fra opache e sinistre paure
che invano cercai d'eliminare
tra fiumi di vino e gelidi pianti
tenuti celati dentro al mio profondo.
Quell'estate, piena d'illusione,
passata all'ombra del gran campanile
da dove scrutavo i preti e gli ubriaconi.
Gustavo grato il tiepido profumo
del pane sfornato al chiaro dell'alba,
di violette, oleandri e tulipani
che invadevano la piazza del borgo.
Ricordo ancora le ambite prostitute
che vagavano esibendo la pregiata
merce, desiderose di vendersi.
Ma il buio adesso incombe sulla mente.
Mai nulla mi straziò così tanto come
quel salice piangente a ridosso
della valle, che mai tregua mi darà.
Andavamo con l'intento di godere
quei brevi istanti che Amore ci elargì.
Nell'aria torrida della serata,
intorno ai nostri nudi e caldi corpi,
regnava una profonda e immensa quiete.
Soltanto rari tuoni e piogge intense
infrangevano il silenzio che avvolgeva
le nostre membra, le nostre speranze.
Vivemmo realmente per così poco
nei frangenti d'estasi di quell'estate.
Adesso, che cos'altro mi rimane
oltre al dolore e al vuoto che mi perfora?
La persi, vedendo evaporare il sogno
mio d'amore. E sopra questo colle,
or che avanza la distesa sera,
io non trovo quell'idea di pace
che mi promisi d'ottenere.
Il pianto a nulla serve or che nulla
devo più cercare, ora che non sento
nulla tranne l'opprimente oscurità. | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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