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«Figlioletta che in spasimi
ti giaci, ascoltami:
tuo padre va a morire,
ei fu un tiranno,
ma vieni, oh pia, e nasconditi,
e dormi placida,
sia almèn tuo l’avvenire,
gioia e non affanno!».
I prodi giunsero,
e la famiglia
feroci presero,
tristi di ciglia.
Muti sepolcri giacevano, e nevi
di sangue intemerato e di dolore,
e putridi sembianti in vesti lievi
con le ferite nell’alveo del cuore.
Tombe irredente di corpi inumani
nella bufera gridàvan, e assorte
eran nei volti le larve, e i lontani
canti di guerra lodàvan la Morte;
e tuttora tuonava a terre prone
fulvo e feroce dei prodi il plotone,
e al grido dei fucili il sacro alloro
d’un Cesare si cadde a un cardo moro.
«Figlioletta, l’attonito
padre qui s’agita,
a te, giòvin nel cuore,
bimba adorata,
l’empio tuo padre in gemiti
tempra le lacrime
del nostro vano Amore,
stirpe dannata!».
Empi ‘l portarono
fuor, nel giardino,
e li legavano,
empio Destino.
A terra, e inermi, e trucidati e spenti
i cavalieri stàvan d’un Impero,
con i capelli alle fauci dei venti,
coi mesti volti prementi un sentiero;
e di ferro le dame avèan il seno,
e di sangue insozzate l’alba veste,
e l’eco s’innalzò d’un tetro treno,
le truppe oscure, e tremende e funeste.
Frattanto in cielo divampava il fuoco
che il lor palazzo inghiottì a poco, a poco,
e d’un monaco l’ombra s’aggirava,
e satanico e torvo ei singhiozzava.
«Figlia perduta, esanime
vedrai il mio palpito,
la madre a terra assorta
in sonno eterno;
ma tu... tu dormi, e salvati,
oh bimba docile!
La tua stirpe è già morta,
dormi! È l’inverno!».
E li bendarono,
ed eran vili;
e comandavano
foschi fucili.
Laceri i petti, le guance colpite
perpetuamente sanguinàvan. Pianto
di nevi le bufere or d’infinite
doglie tempràvan, e un funebre canto,
e degli estremi e funerei Destini
nessuno risparmiò l’empio decreto:
corpi morenti di donne e bambini,
e un urlo della steppa or fu irrequieto.
Ma poco lungi giaceva una culla,
e da qui or sorse una bionda fanciulla;
e non capendo che fu e dove ell’era
ridendo si perdé nella bufera.
«Figlioletta, salùtami,
è il giorno, l’ultimo;
non cercare la mamma,
la tua nutrice!
Va’ tra le nevi; pòsati
sul ghiaccio pallido,
e ignora l’empia fiamma,
e quel che dice!».
«Fuoco!» gridavano
i caporali.
Così morirono
questi mortali.
Era innocente, e d’età assai piccina,
e tra le nevi ormai s’incamminava,
e una vestaglia aveva alba e divina
e che tra i ghiacci svelta or s’offuscava,
e procedeva, fors’anche all’Ignoto,
immemore dei spenti genitori,
e nella steppa l’occhio aveva immoto,
e si perdeva nei ghiacci in furori.
S’allontanava da un reo cimitero,
e della Notte disparve nel nero.
Forse vaga tuttòr, e forse ride;
ma un dì spariva, e mai più non si vide.
«Figlia, sono uno Spirito,
e vago incognito!
Padre son io, figliola,
oh Paradiso!
Addio, per sempre, un gemito
mesto dall’Erebo!
Ignora chi Nicola
un giorno ha ucciso!».
S’alzàvan lacrime
di gioia sospetta.
Le truppe urlavano:
«Morte e Vendetta!». |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
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«In Memoria dello Czar Nicola II Romanov e della sua Famiglia, giustiziati sommariamente dal regime sovietico in data 17 luglio 1918.
Ma nulla di politico!» |
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