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♦ Giuseppe Vullo | |
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Canto il Destino
dell'Anima del Drago,
quando d'estate
la Luna splende
sui monti tibetani,
e canto il sangue
che sulle nevi scorre,
tombe di Morte viva,
e canto i cieli
delle lucciole nivee,
tetro il Crepuscolo,
lì, dove ai piedi
del tè che cresce e infiora,
si lagna un monaco,
e canto quel che cade
a terra, il fior d'un salice.
Eterna guerra
tra il Disprezzo e l'Amore,
Male assoluto.
Canto i lamenti
del perenne Avvenire,
e le stagioni
che qui s'alternano
in parvenze e in menzogne,
e canto i fiori
dei giardini che ghiacciano,
e il Sole che risplende,
e canto il freddo
vento dell'alte vette,
l'ime convalli,
l'ali del Drago
che s'infuriano orribili,
e quiete antica,
la Luna e gli astri,
e i peschi e le pagode,
canto le Furie,
e i cuori si tramontano
tra le rocce sublimi.
Mistero e Fato,
i monsoni dei fulmini,
neve di fuoco.
Questa è la storia
del Drago che rapiva
le gemme e i valichi,
che come un verme
strisciava tra le frasche
delle montagne,
e che fu empia sventura
e disumano Onore,
e che gridava
agli Dei degli Inferni,
osceni detti,
e che temeva
gli Eroi delle divine
stirpi celesti,
e che nelle menzogne
si consumò, e moriva.
Così lo canto,
tra i monti dell'estate
e ai tibetani
sassi, e ai mughetti,
e canto le sue spire,
i suoi sospiri,
e cantando qui affermo
il gran arcano antico:
questa è la storia
d'un Drago; ed egli è l'Uomo,
larva d'Inferno. | 
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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