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«Una delle anomalie di Napoli è quella di avere un centro storico troppo grande, il più grande d'Italia e forse d'Europa. E in questo centro storico per tanti secoli si è respirata un'aria greca prima e spagnola poi, con la presenza di una numerosissima nobiltà sovente decaduta, grezza e fannullona, e di un abbondantissimo Lumpenproletariat (i "lazzaroni") . La vanagloria spagnola e la pseudofilosofica furbizia greca, dal Cinquecento frammischiate, hanno molto ostacolato il processo della nascita di una moderna borghesia che, se presente, avrebbe potuto incidere positivamente sullo sviluppo economico, sociale e morale della città, come avvenne nel resto d'Europa almeno dopo la Rivoluzione francese. L'edificazione della zona del Vomero, dopo l'unità d'Italia, permise finalmente la nascita di un quartiere abbastanza lontano dall'ingombrante e paralizzante eredità greco- iberica, il trasferimento lì di valenti professionisti (medici, ingegneri, architetti, professori universitari...) e la possibilità almeno di indirizzare il pensiero al futuro. E anche l'arte ha tratto vantaggio, per rinnovarsi, da questo quartiere: se, per fare un solo esempio, il compianto Pino Daniele non avesse assiduamente frequentato il Vomero da adolescente e da giovane, trascurando il nativo centro storico, probabilmente non avrebbe avuto gli stimoli necessari ad internazionalizzare la canzone napoletana, ma sarebbe diventato semplicemente un altro dei tanti stucchevoli Gigi D'Alessio...» |
Inserita il 26/06/2015 |
Si esce finalmente dalla Spagna
e dalla Grecia, quando un po’ si sale
al decentrato Vomero, capace
in vera "città nuova" d’introdurci.
Funicolari o metro ben condurci
sanno là dove appare più vivace
ogni modernità, più congeniale,
dove idea di futuro ci accompagna. |
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«Parecchi provinciali come me, ricollegandosi all’etimologia del nome, amano di Napoli più questa parte (semi) nuova che il centro storico (e i più fortunati e ricchi spesso ci sono andati volentieri ad abitare); al contrario, alcuni Napoletani veraci arrivano talvolta quasi a non riconoscere quel quartiere come parte integrante della loro città.
La poesia è formata (non è la prima volta che cado in questo vizio...) da due quartine di endecasillabi a rime invertite.» |
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