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Ostensorio di nero,
l'intangibile il nerbo lo rifugge.
[Non scuote il sangue tenero
intaglienza del rugghio che più strugge].
E la sera! Ha le sue essenze la sera:
il chiarore di luna e il fiato corto
e, tra l'ombre, una forma [l'uomo morto].
Monta un gramo mutismo,
non un bisbiglio [la bolgia è profonda]
intrattabile autismo
ricolma il vacuo che da sguardo esonda.
E poi la sera! Già scende la sera:
mentre tratteggia gli spigoli, muove
le torri tetre una robusta notte
spalancando le porte all'aspro umore
che il giorno aborre e che traccia altre rotte.
Svanisce il vivido in un vuoto cerebro
e, come favola annerita, il sogno
non ha più luce per spegnere tenebre
asperse sopra a polveri del porto.
I pensieri esplosivi che più pungono
e desertiche dune; dentro agli orti
le sagome degli alberi si allungano,
tremano in lungo viale i passi corti.
Non squilla il sole nella aurora muta;
al ieratico buio [verso il corno]
la mente muove in una immota bruma
sopra al sacrario del frascame estorto.
Un albergare in abiti sbordati
dilaniati dal crocchio
di impossanze, tra sassi consacrati
cerca soccorso l'occhio.
È la sera una scure,
acre scure che cala e non fa torto;
tra le mura radure
e una forma nell'ombra: l'uomo morto. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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«Uomo morto = appendiabiti a piedistallo con cruccia.» |
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