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Oh Morfeo, figlio del Sonno e della Notte
sigilli i miei battenti con le dita affusolate
che stringono papaveri, distillando dalla botte
dell'oblio latte tossico e nenie avvelenate.
Fungo dalle spore intrise di droga
fauci di cupola banchettano con le mie sinapsi,
cerco refrigerio tra le mie chimere di strega
ma il mio collo cede al pendolo dell'ipnosi.
E sono medusa, senza vertebre né squame
vittima sacrificale forata dai tuoi rintocchi di vampiro,
sovrana bambina che giace sugli spilli del reame
una lapide senza epigrafe nello sbadigliante cimitero.
Tra le mie clavicole risiedi soporifero
funambolo sospeso sulla botola di palpebra
ti strusci come gatto, consumi il mio fiammifero
sei vagone fantasma, la mia culla macabra.
Rosseggi col mio sangue il tuo labbro pallido
t'adorni di salamandre e delinei neri pentacoli
mi soffi nelle narici foschia dal tocco umido
ed inebriata perdo i sensi nel tuo letto di tentacoli.
Ma giammai io temerò il tuo onirico misfatto
finché le coperte saranno dispiegate e colme di brezza,
il mio senno non annasperà nel letto disfatto
ché io navigo, sì nella pece, ma s'una zattera di carezza. | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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«Potrò sembrare ripetitiva, ma il sonno e l'incubo sono dei temi che mi affascinano troppo per accantonarli in un angolo e non riprenderli di tanto in tanto. Abbiate la pazienza di sopportare questa folle sonnambula che scrive odi alla notte e all'insonnia.» |
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