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Sale lento il caffè in un giorno d’inverno,
scroscio di pioggia, in un battito eterno di sordi ricordi.
Luci soffuse, pesante e livido il cielo,
e arrivi tu lucubra Morte,
degli inferi a spalancar le porte,
per ricordar all'Uomo la sua sorte.
Spavalda e insolente di umano patimento ti compiaci.
Tu, livida Morte, il cui spettro tra mille leggende aleggia,
foriero d’immense paure e scabri presagi.
Alla ricerca di anime perse vai,
nel susseguirsi di giorni grigi e tersi.
Pieno di sgomento il cuore, Inerme il pensiero.
È il tentennar dell’Io sulla via dell’ Essere.
Momenti di gradita viltà, attimi di affannati respiri.
Dall'eremo del mio giaciglio
odo il gorgoglio dei rii.
Cupo si fà il cielo e cupi i miei pensieri,
scanditi dal ticchettio del tempo.
Assorto, il mondo e le sue pene dal mio pensiero escludo,
e a sua volta mi pare, che di me il mondo si escluda.
Delle umane pene non ci si deve dar tormento,
tutti un dì, a concimar le consacrate lande finiremo.
Ricorda, quando vedrai le mie spoglie a terra riverse,
se parte di noi creata tu fosti,
se solo per noi e con noi che tu esisti,
quel giorno nell’ Ade le umane pene avrò disperse.
Ah povera e inutile, stolta Morte,
che di esser eterna ti convinsero.
Non ti accorgi che ogni giorno muori!?
Non ti accorgi, che muori negli occhi di un bambino
e nell'amore di ogni madre per suo figlio?
Ah povera e stolta, Umana, illusione. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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«La morte che tanto ci spaventa altro non è che una nostra illusione, frutto delle nostre paure più recondite. Stoicamente intesa, è una esortazione a riportare il discorso su di essa nella sua sfera propriamente umana.» |
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