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Era una sera pallida
d’autùn orribile.
Splendevano le brume,
e d’in su’ tetti
lagnavansi le nòttole
giacenti in fregola,
e di Luna all’implume
stral, e a’ sospetti
notturno urlava ‘l cielo,
e ‘l suol gemeva,
e nel serale velo
degli Elementi ‘l grido ne fremeva,
e si torceva;
e qui i’ ascoltando ‘l lugubre
canto di quest’Ecate,
immensamente in core
piucché paüra
n’aveva tra le lagrime
un miserabile
senso d’arcan dolore,
e la Natura
or terribile m’era,
e bruta e arcigna,
e mi parve foriera
d’una Furia che andava in su’una vigna,
cadea la pigna.
Fuor veggendo le tenebre
e fauci formide
del nembo e della sera
i’ ne tremava
com’impaurito pargolo
dal passo debile,
e i’ sciogliea una preghiera
all’aura cava,
e n’udìa l’ansia pioggia,
e ‘l fero vento,
e in su’un’arida roggia
quest’acqua omai n’andava, e ‘l scorrimento
suo era spavento!
N’avea all’ischiena i brividi,
i folli tremiti,
un senso indefinito -
melanconia -
un bacio d’inquietudine,
un duol dell’anima,
e al Cielo e all’Infinito
la voce mia
strillava or forse muta,
or forse in ira,
ed era omai perduta -
colei che ancor soffrente or si sospira -
in cupa spira;
e pur giacendo esanime,
esangue e fervido
in questo smarrimento
i’ amava ‘l pianto
che mi scendea spasmodico -
tosse di tisico -
e un cheto Sentimento
nel petto affranto
in gaudio e in pace e in requie
i’ contemplava,
sensazione d’esequie,
e la civetta oscura si lagnava,
e un bosco orbava.
Sentiva i’ ‘l core stringersi
nel petto timido,
e mi pungea l’inquieto
attimo in Notte,
tra gl’immobili palpiti
e in sulle costole,
presso ‘l misero greto -
notturne motte -
e un dolor n’era intenso,
l’alma smarrita,
e pel nugolo denso
la Natura giacea oramai assopita,
qual la mia Vita;
e pensai: forse ‘l lugubre
Destino e ‘l tumulo,
ora mi spinge a Morte,
e ‘l reo pensiero
mi raggelava l’anima,
e tacque ‘l spirito...
vedea compir la Sorte,
un menzognero
confin tra sonno e spene,
tra ‘l vespro e l’alba,
e tremavanmi le vene,
e d’in sul finestrel la brina scialba
scorgeva e falba.
Mancar udiva l’alito,
crollare ‘l vivere,
e questa dicembrina
Notte d’orrore
sentìa d’intorno fremere
in crudo gemito,
ed era ‘la meschina,
tetro terrore,
e disumanamente
or s’inoltrava,
e all’orizzonte spente
quest’aure cupe stavan, e gridava
e nevicava.
Allor s’ergeva un murmure,
un fero fremito,
nel bosco urlava ‘l lupo
all’orno bieco,
e questo reo piagnucolo
lambiva i nugoli,
e ‘l ruscello e ‘l dirupo,
e ‘l pioppo cieco
e intanto si scendeva
la fredda neve,
e ‘l fiocco si spremeva,
e la terra sen stava e bianca e lieve,
e poscia greve.
Oh Notte torva e orribile,
fauce spasmodica,
oh Notte rea e ansimante
a te qui canto,
e ancor mi sorgon incubi
che a frotte vengono
nell’orbo guardinfante
del denso pianto;
e appen morto ‘l novembre
si schiude ‘l verno,
e s’appressa dicembre,
or solenne e festoso, e ascoso ischerno
d’un Fato eterno...
E mi domando, o tenebra,
se fia possibile
perduto pur l’onore -
e spiccò l’ale
l’Amor, la Vita giovine -
un mar di cenere
sorridere nell’ore
d’esto Natale.
Ma so che la canzone
m’è stral di rovo:
i’ penso che illusione
or ne fora perfino l’anno novo,
e mi commòvo.
Eternamente illuso!
Ma prego Iddio
e sempre guardo in suso! |
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