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Ascolta, figlia di quest’uomo errabondo,
l’arcano oscuro di questo dolce oracolo,
poiché ne sono febbrilmente il profeta,
colui che svela le volontà d’Iddio,
la Furia insana del Destino che grida,
e la speranza d’una terra migliore.
Mi manca il bacio che dà in sogno il tuo labbro,
il ciel che dolce nell’autunno s’annebbia,
l’estasi attesa d’un Amore strozzato,
l’empia menzogna del Fato che m’irride.
Mi son coperto dei tuoi sguardi irrequieti,
dell’ansia beffa del tuo freddo sorriso,
e n’ho vestito l’impronte del dolore,
l’irsute pelli della tigre selvatica.
Hai forse chiesto quanto pianto io versassi,
e m’hai contato forse quest’ansie lagrime,
le oppresse lagne che nel canto tuonavano?...
Per te son pietra, cuore ruvido e insano.
Non ho parlato quando doveva il labbro,
ammutolivo davanti al tuo cospetto,
sono un represso, tremendo e muto spirito,
una montagna che piange nel silenzio.
Non hai contato le stille del mio pianto
perché le valli non piangono, e le vette
tra l’albe nevi non sentono dolore,
e perché i monti son di roccia possente.
No! Non importa!... Pur sovente ti sogno,
m’intenerisce la parte che si geme
del tuo bel volto, l’anima tua nascosta
che mi fa piangere come un bambino debole,
l’egro rubino del sangue tuo dolente,
questa tua eterna terribile ferita,
le vecchie piaghe che in me son del rimorso
quando ricordo la bambina che fosti,
dolce e imbronciata, salutarmi da timida,
ferocemente senza una mia risposta,
nel mite tempo delle favole amene
e dei racconti di deserti incantati.
M’illudo tanto di poter far del bene,
di darti l’aiuto... l’aiuto che mancava,
mettermi in mezzo tra di te e il tuo patire,
prendermi i colpi che a te son destinati.
M’illudo tanto di poterti ascoltare,
esser cuscino pel sonno dei tuoi strazi,
la piuma immersa nel pianto mal represso
di tue pupille, la cella dei segreti,
e d’avverarti l’insieme dei tuoi sogni
quando domandi vanamente l’ascolto.
M’illudo sempre di poterti mostrare
la virtù santa che nel cuore ricetti,
di sollevarti quando ti sottovaluti,
quando lamenti l’assenza indefinita
di quanto vali, di quanto sei superna.
M’uccide il labbro che nel tuo volto si tace,
non son che un pazzo - per te - che ignora il vero
e che si giova d’un’immagine falsa,
inconsistenza d’un delirio impazzito,
perché ti senti maledetta in eterno,
sensi hai di colpa, colpe che non hai fatto,
la guerra antica del passato ti preme
e ti proibisce l’essere un dì felice.
Eppur nel cuore forse di me t’accorgi,
e sei confusa, vorresti anche credermi,
creder davvero che sei quella che scorgo,
e il mio cantare come un soffio di Sole
sull’alba neve ti scioglie questa maschera,
ti strappa il pianto sicché forse sorridi.
Or vorrei dirti nuovamente che t’amo,
l’anima ho in cuore che è attratta dal tuo spirito,
vedo che soffri, sento un senso di freddo.
Di me hai paüra. Forse son d’altro secolo.
Santa ti chiamo. Sei forse indispettita!
No! No! Non serve nessun consenso, ascolta,
per portar l’alma d’un fiore in Paradiso! |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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