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Avvolto dal tepore della nebbia mattutina
scruto le ombre a indovinare la fonte
ma non ho più pazienza
salito fin quassù
osservo la rugiada colare dalle foglie
e diventare guazza sopra la terra scura
Dov’è l’incanto promesso?
Dove le stelle ai piedi e il sole in viso?
Dov’è il lento dispiegarsi delle stagioni
che sfiora lieve il volto tuo sereno?
Dov’è finita l’alba del lieto nuovo giorno
se tutto intorno è oscuro, cupo e uguale?
Se cellule impazzite inventano le morti
per occhi ancora in cerca della vita?
Sarebbe stato facile per te
illuminare tutto d’immenso
e cancellare il pianto
donando riso a fiori e bimbi
e un prato di violette
un prato per noi tutti
per tutte le speranze
per le mie debolezze
per le nostre viltà
Siamo soltanto umani, né dei né demoni!
Quelli, ce li hai inventati tu
per divertirti con le nostre spoglie
scommetti su chi sale e su chi piomba giù
per celebrare il lutto
dentro uno schermo lucido azzurrino
con il vestito chiaro
d’un papa benedettino
Grazie, ma grazie mille
per tutta ‘sta premura
di costruire recinti
nei quali farci correre
felici come pecore
al comodo riparo
del tuo lupo cattivo.
Restaci tu qui,
e aspetta cappuccetto
oppure biancaneve
che vuole sette nani
per diventare grande
Restaci tu qui,
in questo mondo in bianco e nero
dove il grigio è il solo risultato
e le onde limacciose di tsunami
strappano sorrisi a bamboline thai
per regalarli a imprese della ricostruzione
che nuove torri di babele innalzeranno verso il cielo,
quel cielo rivenduto
come se fosse la tua casa
dove il nostro dito mai non ci arriverà.
Ma a noi,
che non abbiamo più coraggio
che non abbiamo un briciolo di fede
che non ne abbiamo ancora mai abbastanza,
restituiscici le ali! | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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«(in morte di Francesca)» |
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