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Nell’acque oscure e fredde si lagnava
un’ombra lieta e bella di Sirena,
nella Notte silente e in Luna piena
e come ‘l mar scorrea all’ignoto lido
e all’orizzonte e cupo e tetro e infìdo,
ella in pianto e in patire e mesta stava.
Ell’era Bertfriede, la donna de’i mari,
la figlia smarrita de’i Numi marini.
La pelle e le squame di cesie e lunari
vestiva di luci, d’ingrati Destini.
Così l’occhio volgea alle vil scogliere
‘ve una pietra in rovina fuvvi e tetra,
e le nubi mirava e dense e nere
e in man teneva e d’oro l’alba cetra.
Un dolce carme e infausto ne cantava,
a uno scoglio agitato e al sale ameno,
colle lagrime al ciglio - e ignudo ‘l seno -
e le corde fatal ne pizzicava.
Allor tra l’onde brune e in gelo s’inquietava,
e sabbie avea in sul ventre e pie conchiglie,
e de’i fondi pregava l’aspre figlie,
e biondo ‘l crine e folto al petto mise
e le carni coprìa del mare intrise,
e a un’incognita foce ancor n’urlava.
Ell’era Bertfriede, Sirena in sciagura,
fuggente chimera in su’i fiordi paterni.
Cantava melliflua all’infame Natura,
in pianto scorreva i sorrisi e gl’ischerni.
Sempre al scoglio seduta a un bel castello
le bianche guance volse e a un’alta torre,
e mentre in Furie urlò un crudel fringuello,
a questi sassi un pianto or volle sciorre;
e coll’arpa incantata - e al labbro bava -
le fresche spume e orrende e l’acque e a’ rive
e i scogli e cupi e atroci e le salive
e gli Elementi folli n’agitava.
Così a’ Mostri abissali or s’infuriava,
e ‘l collo fu in singulti, eterno ‘l spiro,
e in core ascosto e bieco un gran martiro,
e dal seno ‘l capello n’ebbe un sorso
d’amaro e inquieto latte - e come in morso -
ed ella ormai impazzita lamentava.
Ell’era Bertfriede, la povera lisca,
giaceva gemente in tremendo dolore;
e al fiordo feroce, codesta Odalisca
piangeva... gemeva... gridava d’Amore!
L’onda fresca e gentil le andò in su’i fianchi,
e ‘l vento n’ondeggiava al sen tra ‘l crine,
e questa Notte in nembi e oscuri e bianchi
parea mai avesse e cruda e ancora fine,
e ‘l capello feral solleticava
le caste forme e belle e l’albe spalle,
e al volo di notturne e ree farfalle
l’affanno all’alma prisca or s’aumentava.
Allor la donna mesta ne spezzava
della cetra le corde e odiate e ansiose
e usando queste come spin di rose
all’irrequieto petto altèr si punse,
e di Morte veloce e in pena s’unse
e se medesma e alfin n’assassinava.
E fuvvi Bertfriede, la folle Sirena,
d’Amore e di strazio fatale s’uccise.
Il corpo fu colto, divenne polena,
le corde conchiglie di gemiti intrise.
E questa che udite ne vien la ballata.
Nemmeno tu, oh Notte, le desti un’amata! |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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