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«Ricordo che quando ero piccolo non sapevo esattamente (a differenza di tanti miei coetanei) cosa fosse il gioco del calcio: davo quattro calci al pallone solo per il gusto di vedere la sfera allontanarsi il più possibile da me, senza conoscere le regole di quello sport (che mio padre, pazientemente, cercava di spiegarmi) . Fu forse soltanto attorno ai dieci anni di età, quando studiai una famosa poesia di Umberto Saba ("Io vi saluto, rosso- alabardati, ecc. ") che il mio approccio con il calcio cambiò totalmente: restai un pessimo giocatore, ma ne diventai un esigente spettatore. E allora mi viene da fare una riflessione piuttosto audace e abbastanza inquietante. Forse chi, in tenera età, sviluppa come primo amore quello per le lettere (e mi ricordo che io mi innamorai dei loro caratteri ancor prima di sapere come andavano letti) vede tutte le cose della vita rappresentate innanzitutto dalla scrittura: il calcio non esisté davvero per me prima di aver letto una poesia su questo sport, la rosa del giardino fu vera soltanto dopo aver scritto il suo nome, e perfino l'amore diventò qualcosa da poter sperimentare nella realtà solo dopo aver letto qualche appassionante romanzo sul tema...» |
Inserita il 18/10/2015 |
Del gran calciatore la palla
all’abile piede s’incolla:
l’intera difesa barcolla,
mostrando ben più d’una falla.
Il pubblico gode, ed incolla
lo sguardo a chi tiene la palla,
a chi, come vispa farfalla,
di gioia riempie la folla.
(Chi dice "E’ soltanto una palla
meschina, di calci satolla"
non sa ch’è una dea che non crolla,
se presso quei piedi s’installa!) |
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«Da Pelé a Neymar, passando per... (fate voi!)
L’ultima strofa mi è stata suggerita dal ricordo di ciò che diceva la mia nonna pesarese quando, suo malgrado, guardava una partita di calcio: "Mo’ co’ l’a (v) rà mèi fat d’mèl, chel por palon, par to’ tutt ch’i calc‘? " ("Ma cosa avrà mai fatto di male, quel povero pallone, per prendere tutti quei calci? ")» |
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