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Volerò con ali d'oro nella profonda notte,
quando nel silenzio delle ombre
s' ode soltanto il mio respiro -lento-
che s'accompagna al sonno
dei vecchi contadini.
L'unicorno bianco sarà il mio destriero
e per spade avrò i raggi delle stelle,
cavalcherò sino alla torre alta
dove il mio amore è prigioniero,
asciugherò il suo pianto e curerò le sue ferite,
placando i fremiti e i sussulti del suo ardore,
non potrò spezzare -ahimè- le sue catene,
forgiate col maleficio del dolore
di mille genti oppresse,
depredate di grano e miele
e sul patibolo assassinate senza condanna a morte.
Cavalcherò sino al Palazzo di Ossian il Torvo,
con passi di lupo guadagnerò le stanze,
mi celerò tra dame, ancelle e concubine,
con filtri e musiche sedurrò il Tiranno
-mentre il cuore sanguina stretto nelle mani di Daavìd-
e nell'istante ottenebrato dal piacere,
nudo come verme e inerme gli aprirò il petto
trafitto dall'ingordigia e dal suo ego maledetto,
giacerà tra i putrescenti olezzi dei rifiuti,
banchetto di corvi e d' avvoltoi,
mentre nei campi rinverdiranno spighe
e ognuno avrà le messi ed il suo pane.
Avrò le chiavi della torre dov'è sepolto il mio Daavìd
e finalmente spezzerò le sue catene. | 
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