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Le fiamme scendono
dal cieco Sole,
brucian le paglie
de’i campi ceruli,
vello di viole
fatto di scaglie,
e gridan pallidi
gl’iris d’inchiostro,
e le ninfee
morenti baciano
del corvo ‘l rostro,
ignude Dee,
e come un attimo
d’eterno foco,
come una giostra
di folli pargoli
dell’aure ‘l giuoco
caldo si mostra,
come una bacchide
che ‘l peplo sveste,
al seno spoglia -
ignuda e impùdica -
nelle foreste
sotto una foglia,
come la candida
fresca sua pelle
che s’annerisce,
sfiorito fascino
che l’afa svelle
e che ferisce,
come de’i valichi
de’i foschi fiordi
una Valchiria
che a’ visi nordici
de’i monti sordi
dell’ansia Stiria
è negra d’Africa,
da’i nembi uccisa,
biondi i capelli
si fan di tenebre,
di sangue intrisa
in su’i mantelli.
Regno dell’Erebo,
spenta beltade
l’estate è questa
che in fino all’Ecate
arde contrade,
fiamma in Tempesta,
è un crudo e lugubre
reo mausoleo,
dove la Vita
divien cadavere,
putrido neo,
rosa assopita.
Allor ne’ spasimi
a te mi volgo,
oh fresco verno!
Quanto se’ docile,
quando t’accolgo!
Estate... Inferno! | 
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