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In una pozzanghera sporca e scura,
si specchiava l’anima di quell’ubriacone;
si riflettevano gli occhi di quella creatura
immersi nelle tenebre della sua disperazione.
Barcollante, egli tremava, non già di paura,
non sentiva più il sapore delle emozioni;
bensì il freddo della sua anima impura
lentamente lo abbandonava tra i ricordi e le illusioni.
Da solo, in disparte, tra l’asfalto bagnato,
si rannicchiava pensando a vecchi sorrisi;
ubriaco, dannato, dalla gente sputato
non riusciva a veder con nitidezza quei visi.
Limpido era il cielo, ma la pioggia era nei suoi occhi;
un piccolo firmamento nell’universo che era il suo viso.
L’orologio al polso scandiva i suoi rintocchi,
mentre dentro, lentamente, moriva il ricordo d’ogni riso.
Bruciava il petto e il cuore annegava nell’ultimo sorso;
la bottiglia scivolava tra le dita indecise;
la mente si abbandonava tra i fumi del rimorso,
mentre stringeva con le mani le vesti d’alcool intrise.
In quella pozzanghera sporca e scura,
si specchiava l’anima di quell’ubriacone;
oppressa ed imprigionata da impalpabili mura,
privata perfino delle ali dell’immaginazione.
Un soffio leggero tra le labbra inaridite,
la lingua confusa che cercava le parole,
gli occhi socchiusi come rose appassite
o come girasoli che invano cercano il sole.
Nascevano alla bocca finalmente i suoi pensieri,
si diramava la nebbia che la mente avvolgeva
e trovando per un istante della ragione i sentieri
per prima ed ultima volta alla sua anima si rivolgeva:
“ t’ho resa prigioniera, sporca e impura;
t’ho infettata col germe della mia ragione,
non sono uomo e non merito sepoltura,
voglio solo morire tra la derisione.
Va via! Ti prego scappa dalla tua prigione,
lascia il corpo alla sua maledetta sorte;
risorgi e guarisci da questa infezione
che posso curare solo con la mia morte.“
Agli occhi della gente un ubriacone s’addormentava,
esausto e sconfitto dal male del suo vizio;
ai suoi occhi invece la vita lo abbandonava,
ponendo fine al suo vivere fittizio. | |
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