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Vidi il fogliame pianger dalle sequoie
E poi in aria di sovvento arrestarsi,
Sullo scrosciar piovano delle sviste gaie
Sol tetro e ammaliante era or il cullarsi.
Volli rivivere, e per questo odorare
Le lente sonate degli anemoni
E immergermi in compagnia dei loro steli
Nelle fosche acque di un cielo plumbeo.
Il morto obelisco che muove lontano
nel buio, chiama chi nel noioso lago è caduto.
Io, in vero, scorsi il pacato sovrano
un giorno, pur sempre avendolo conosciuto.
E non vi fu ardore che poté rischiarare
Quand'egli volle ergersi e nell'apatia relegarmi,
Quella torre che vuol il destino
Farsi maschera di un tedio corvino. | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
«Il rimandare è paragonato dall'autore al cadere in un lago (nella noia) e al nuotare verso un "pacato sovrano" (la torre) che releghi chiunque lo incontri nell'apatia, e quindi nel buio. Nella prima strofa l'immagine delle foglie immobili a mezz'aria simboleggiano lo stravolgimento del tempo che la noia induce. L'alternarsi della metrica tra sonetto/verso libero simboleggia lo svolgimento irregolare di un compito causato nella noia del farlo, e il tortuoso viaggio tra le acque verso la presa di coscienza di essere vittime della procrastinazione. Presenti enjambement, sinestesie e simboli.» |
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