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Sempre vo’ errando,
e aspro m’è ‘l culmine, e ‘l ciel m’è tormento,
e perenne è ‘l mio bando,
e un turbamento
mi sorge in core, e vien la Notte e tace,
e grida ‘l Sentimento,
e l’ansia giace
in me che remigo e privo di spera,
e privo pur di pace.
Piove; è la sera
e l’orizzonte è un fior di pioggerella,
e soffia e vien la Vera,
e v’è una stella
che irride ai zefiri, e al vento e alle rose,
e la Luna è alba e bella,
e alle mimose,
e ai gelsi e ai pruni la rugiada cola,
gocce di stami ansiose,
e va la viola
a ber quest’acque, e un’orba margherita
sen giace e inerme e sola.
L’ombra smarrita
qual spettro spasima or d’un bel prunalbo,
e Notte è Morte e Vita,
è ‘l verno scialbo,
la primavera che lenta germoglia
al cor d’un ghiaccio albo,
e mentre in doglia
un ramoscel di gemme si riadorna,
fiacca è a cader la foglia,
e l’aër torna
a soffiar spir di strangolata neve,
e ‘l ciel più non s’aggiorna;
e non più lieve
è l’aura prisca in sul boschetto aprìco,
e al cardo e in sulla pieve,
e al melo e al fico,
e al noce oscuro, e al sanguinello e al pesco,
e a me che son mendìco...
e ‘l vespro è fresco,
e cupo e lugubre, e mi fa paüra,
e parmi furfantesco,
e la Natura
m’annunzia al guardo d’un lupo feroce
un’empia e rea sventura.
N’odo la voce:
ombre fuggenti, e strillano i lappini,
e in su’ un ruscel la croce,
tra’i sassi i crini
della bufera gridano e son morti,
e raggelano i pini,
e i pioppi assorti
quieti sen dormono - e placidamente -
e posano pur gli orti,
e l’orbe mente,
e l’egre bacche e le tremule ortiche,
e le gemme e dolci e lente,
e acerbe spiche,
e i bei ranuncoli, e i fior di campagna,
e le violette aprìche,
e quel che bagna
il rivo ombroso, e le rogge e le pietre,
e un’aspra e bianca ragna,
e l’orride etre,
e le cascine che veggo - io viandante -
e ‘l son di piogge, cetre,
e ‘l guardinfante
delle corolle, e i primieri bocciòli,
e ‘l ruscel d’adamante,
e poi i nocciòli,
e i tigli giacciono in sonno invernale,
e in ciel de’i gufi i voli;
e freddo è ‘l strale
di questa Luna in cor primaverile,
e ‘l bruto maëstrale,
e lungi è aprile,
e in Notte splende vaga e bella l’Orsa...
Ed io men vado umìle
per ansia accorsa,
e tremo e passo pe’i boschi e in su’i colli,
e la lucerna scorsa
e gli oli folli,
e la sua fiamma, e ‘l suo vitreo e pio aspetto,
e i suoi mador sì molli,
e ‘l collo schietto
mi sono speme e proseguo ‘l cammino,
ma non v’è forse un tetto;
e son meschino,
docile vittima e affannoso e scalzo
d’un pallido Destino,
e sempre balzo
in tra le piogge e la Notte crudele,
non so, né al ciel più m’alzo;
e amaro è ‘l miele,
che stilla ‘l fonte al mio peregrinare,
e ‘l ciel si fa di fiele,
né so ove andare,
è verno e oscuro, la sera è ‘l mio sfarzo,
le stelle ‘l mio bel mare;
e intorno a me vien marzo,
occhio di rosa e verno, cor di quarzo! |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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