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«Questo sonetto, oltre a rappresentare un'introspezione vera e propria, è anche un'evidente constatazione che ognuno di noi può fare su se stesso quando ha raggiunto una certa età. Non si è più come prima e per giunta c'è da aspettarsi ancora inganni e contrarietà esistenziali. Il tempo ci trasforma a suo piacimento. Ci accorgiamo che si diventa sempre più niente, in quanto perdiamo le forze e ci sorreggiamo a malapena.» |
Inserita il 04/06/2017 |
Sara' havi cchiù t' na settantina t' anni
ca no' mi sentu fiaccu com' a mu'.
Mi fannu mali l'ossi a tuttivanni
e lu dulori no' mi passa cchiù.
Si sapi ca, oramà', ci è fattu cranni
e no' surtantu iu, ma puru tu,
s' havà 'spittà' t' la vita 'ncora 'nganni
e cielu sempri gnuru e no' cchiù blu.
"Mmiram'ni 'ntra lu specchiu, amicu mia,
ca ni ddunamu com' hamù canciatu:
li uecchj mu' no' ttennu cchiù 'llicrìa;
lu reshtu già s'è puru trasfurmatu!
Cce ssi ddiventa! Nui no' ssimu nienti!
Ni mantinimu propriu arrenti- arrenti!".
Traduzione:
Che si diventa!
Fors' è da oltre una settantina d'anni
che non mi sento fiacco come adesso.
Mi fanno male le ossa dappertutto
e il dolore non mi passa più.
Si sa che, oramai, chi è diventato grande (d'età)
e non soltanto io, ma pure tu,
deve aspettarsi dalla vita ancora inganni
e cielo sempre nero e non più blu.
"Miriamoci nello specchio, amico mio,
che ci accorgiamo come siamo cambiati:
gli occhi ora non hanno più allegria;
il resto già s'è pure trasformato!
Che si diventa! Noi non siamo niente!
Ci sosteniamo proprio appena appena!". |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
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«Sonetto normale in vernacolo sanvitese (alto salentino) con relativa traduzione. Schema: ABAB/ABAB, CDC/DEE.» |
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