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Piccolo germoglio
occhi di mio figlio,
boccuccia da uccellino
e in petto un cuoricino
che batteva
e ti teneva vivo.
Le tue manine,
dieci piccole dita
che passano la vita
ad intrecciar quei fili
a fabbricar tappeti,
scarpe per giocare
e palloni da calciare,
per un gioco che,
ai nostri bimbi diverte,
da noi si chiama calcio,
invece, da te il gioco
si chiama sopravvivere,
a sofferenza e morte...
Occhi belli,
e intorno sei fratelli
che aspettano monete
che tolgano di torno
almeno per un giorno
la loro fame e sete.
Iqbal,
forse un giorno capiremo
che abbiamo perso noi.
Noi,
i "padroni" dell'universo
e di un sole che non darà più calore,
ma allora, non ci sarà più verso
di riscaldare
il cuore...
Perché,
quando un bambino
pakistano, indiano
africano o di diverso altrove
non ha gioco da giocare,
acqua per la sete dissetare
e pane per la fame sfamare,
e può solo morire,
abbiamo perso noi,
Iqbal.
Noi che muoviamo i nostri culi
solo se ci riusciamo a divertire
e costruiamo,
davanti agli occhi nuovi muri
per non dover vedere
e i vostri occhi cancellare.
Iqbal, come un soffio di vento
dalla tua terra al mare,
Iqbal, morto senza mai
darlo a vedere...
Chiuderò gli occhi e dentro me
la tua immagine,
e in ogni verso mio, tu
e sempre tu,
tu, in tutte le mie pagine.
E fino a che
avrò tempo e cuore
anche il mio ultimo respiro
Iqbal giuro,
sarà per te
che dentro me sei vivo.
Noi abbiamo perso,
noi,
Iqbal. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
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«Iqbal, Iqbal.
E' dell'inferno
dei poveri
che è fatto
il paradiso
dei ricchi.
(Victor Hugo)» |
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