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Usignolo dal cuore di cera
voce d'ambra notturna,
alta volavi nel cielo dell'armonia.
Tragici occhi densi
rievocanti omeriche gesta,
tratti incisi da Minerva.
Ti piansero gli uomini
orbati anzi tempo dalle malie
profuse con cristallino canto.
Fanciulla, t'incrociai confusa
dalla carezza sfiorante il mio viso,
là, fra le quinte
il proscenio già in ombra
e tu, Medea in altere vesti
al pari di dea uscivi di scena. | 

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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
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«Alla Scala di Milano ancora ragazzina vivevo il mondo dell'arte all'ombra dei palchi di proscenio. Ad una prova generale di Medea incontrai la grande Maria Callas a cui mia sorella, pure lei soprano, mi presentò. Non dimenticherò mai quella mano che si posò per un momento sul mio viso. Nei suoi occhi profondi ancora si leggeva la tragedia di Medea.» |
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