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Non resta che cadere,
spegnere tutto e dormire
finché tutto sia altrove.
O sorvolare questo mondo angusto,
polveroso e buio
smembrato
rattoppato e finto.
Ho visto alberi
non avere più linfa da piangere,
ho visto dal cielo ferito colare sangue
e dalla terra salire un grido
di muto terrore senza più voce.
Non resta che cadere
sprofondare nelle crepe più nere
e dormire.
O inventare ali e cieli,
dipingere colori
sulle vite angustiate,
gridare che è arrivato ora
il nuovo giorno
gridarlo agli orecchi chiusi,
alle menti spente
e correre liberando il fiato
dando un afflato di vita
agli ottoni ossidati dei nostri anni più veri,
risvegliare i nostri ieri
perché siano oggi
e i domani non siano solo neri presagi
di schiene piagate e sconfitte.
Ho visto uomini ancora interi
gridare nel fuoco dei silenzi,
ho visto donne
senza volto e senza paga
sfidare uomini e dei
urlando la vita.
E ho visto i figli dei nostri disagi
solcare le strade
scavare le fosse
gettando retaggi e cimeli di muffa
e costruire il giorno
che fughi quest'ombra di morte.
Ma forse non resta che cadere
e piangere lacrime mute
finché la terra salata non partorisca più fiori
e finché il cielo non cada
a coprire di calce le nostre miserie.
O spolverare i piedi,
riscoprirli veloci
unire in cori le voci ora roche,
abbattere le rocche
unire le mani
e spalancare
oggi
i nostri domani. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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