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 | Ero bella.
Ai ragazzi del villaggio
brillavano gli occhi neri
quando passavo
scuotendo gli orecchini che ho perduto
e muovendo con passi da gazzella
i fianchi miei rotondi;
si spingevano ridendo fra di loro
dopo aver sbirciato imbarazzati
i miei piccoli seni duri e fermi.
Non erano così
quelli che ci aspettavano a Zuwarah,
uomini freddi incapaci di sorriso
che mi hanno imbrattata senza gioia.
Ora – tu mi vedi – sono sporca.
Si è asciugato il corpo, e non è mio,
e dentro mi è restato quel deserto
che tenace ho voluto attraversare.
Arranco con le gambe scheletrite.
Si è lacerata la pelle dei miei piedi
sopra le dure rocce del sahel
e non riconosco queste orrende ossa
seccate dal vento e dalla fame.
Sono brutta.
Ho le labbra spaccate per la sete
e gli occhi opachi di spavento
dopo aver visto sopra il mare nero
morire senza pianto, ad uno ad uno,
fra le mani delle madri disgraziate
i bambini incapaci di capire.
Sono sporca. Mi vedo repellente.
Sono gli stracci che mi porto addosso.
Annego nel fetore.
I ragazzi che mi danno l’acqua
non riescono a sorridere per me,
vedono solo lo sconforto,
hanno negli occhi lo stesso mio sgomento. | 
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