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| Passarono gli anni e dopo le Decadi,
d'Anàsteros, poco si seppe
E pochi gli uomini sopravvissuti
a Boreios la cittadella
ancor farneticavano della collera del
Dio
Ed essi si trovarono nei deserti di Lancur,
peregrinanti e maledetti senza Terra.
Poche manciate di carne e sudore
alla ricerca disperata di casa.
E le donne, dall'utero logoro
smisero di generare, così anche
i vecchi volti, una volta
fiore e delizia dell'umanità,
smisero di generar sospiri
nei compagni maledetti
E le carcasse degli animali,
così anche quelle dei fratelli defunti
vennero abbandonate alla sabbia.
Fu il tempo, in cui l'uomo cessò
di seppellire e di credere,
tradito da sè stesso, marciava alla deriva,
ricercando la salvezza
E ad ogni passo, il sangue dei bambini
ancor giaceva nelle loro menti.
Non v'era pace per i loro cuori,
ché presa coscienza dell'abominio recato
non ci fu ora, senza urla e disonore.
Fu così, che si fermarono stremati
dopo anni di cammino, in un'oasi sperduta.
Lì alle pendici d'una collina, v'era l'acqua
e frutti freschi.
E si misero al lavoro,
E s'accamparono per la notte fredda.
Oh, la notte!
L'immacolata bellezza scura ornata di stelle,
scorreva lenta sulle lacrime dei maledetti,
che senza pace, rivedevan marmi bianchi
e l'antico splendore di Boreios ancor vicini
E le feste e l'opulenza andata, il più completo
distacco dai diseredati. Giorni di sangue e di gloria!
Dei canti, non si udì più la voce
e la gioia dei focolai rimase pallida
luce in ogni pupilla
Tanto era il dolore, che serpeggiava nelle notti
quanto il rammarico per aver ferito Anàsteros
E mentre tutto taceva, si levò dal buio
mormorante appena, una preghiera.
- Io, Zarathustra, figlio di Zoroastro
umilmente mastico la polvere ora
in questa notte di stenti.
Che del potere e dell'abominio
ho attraversato le gioie,
che dell'innocenza ho relegato il sapere.
Che del povero ho digerito i resti
nelle piazze,
asservendo la mia ingordigia celebrando
me stesso
Che dei pianti e della sottomissione
ho fatto musica del cuore.
Che dell'acciaio fratello e dell'industria
religione tra i tormenti
Che ho schiacciato con violenza
e stuprato e bruciato
Ora, per terra e prostrato
comprendo ogni dolore
Mi rivolgo a Te
O Candido d'illibata purezza
Te che solcavi alla ricerca,
oceani e fiumi, terra riarsa
e monti
Te che hai veduto la forza
della luce, la forza del buio
Che con piedi nudi hai marciato
al fianco delle masse, che hai
macchiato la tua bellezza
sulle piazze di Boreios
Perdonaci se puoi, figlio
di Aiag, riprendi il volo sui
figli di questa terra
Raccogli la mia preghiera
di redenzione e liberami
dal dolore
Fa che finisca il tormento
delle notti. Fa che il mio credo,
che la mia presunzione d' OLTREUOMO
cessi.
Oh, inutile convinzione!
Quanto suona sciocca ogni mia parola
ora
Che della pietà e del Divino ho rinnegato
le tracce.
Non v'è carne senza il Dio
non v'è Dio senza la carne
ora so -
E sulle parole miti,
vere e sincere di Zarathustra,
una lacrima cadde lontano.
Nascosta, tra cielo terreno
e sospensione d'ignoto;
fu la settima lacrima
di Anastéros |
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EnzoL |
20/01/2013 15:40 | 1901 |
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Questa poesia è pubblicata sotto una Licenza Creative Commons: è possibile riprodurla, distribuirla, rappresentarla o recitarla in pubblico, a condizione che non venga modificata od in alcun modo alterata, che venga sempre data l'attribuzione all'autore/autrice, e che non vi sia alcuno scopo commerciale.
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«Settima fiaba
Anàsteros: dal greco classico 'privo di stelle'
Boreios: dal greco classico 'del vento del nord'
-
da così Parlò Zarathustra: Vi scongiuro, fratelli, restate fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze! Essi sono degli avvelenatori, che lo sappiano o no. Sono spregiatori della vita, moribondi ed essi stessi avvelenati, dei quali la terra è stanca: se ne vadano pure!» |
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