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E tu Lisboa
avesti cura del nostro amore
che alimentava fuochi nei passi
persi tra vicoli antichi
che salivano contorti
all'antica Fortezza specchiando torrioni
e ulivi curiosi nel sonnolento ampio seno del Tago.
Salotti le piazze si aprivano improvvise agli sguardi
mani intrecciate,
passi lenti combacianti,
attiravamo corpi e baci dietro statue altere
e bodeghe debordanti bacalao,
storditi di noi
e dall'acuto olezzo di mare essiccato.
Le tasche straripanti ciliege
rosse come sangue pulsante
lusingato dal sole
al vento Atlantico,
mai stanco di acciuffare nuvole.
E quel gatto fulvo dietro la colonna del Duomo,
rovina a cielo aperto,
la preda ben salda ancora palpitante,
lo sguardo torvo di guerriero.
Ridevano i tuoi occhi, more mature,
perdendosi nei miei, specchi di cielo.
Camminavamo ubriachi di sole e pioggia e vento
stringendoci,
aggrappandoci all'amore reso gioiello.
Mentre tu, Lisboa
ti legavi a noi trattenendoci.
Ma ce ne andammo,
dovevamo,
Poi te ne andasti,
forse dovevi,
ma perché... |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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