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Era una giovine dama infelice,
bruna di crine... il ciglio era d’acque;
e ‘l padre sposa la diede - e ‘la tacque -
a un mercatante avaro dell’ôr.
Misera donna!... Odiava ‘l marito;
eppur Amore sì finger dovette.
Ahimè, una volta col ciglio smarrito
scorse di Notte dell’ombre sospette...
ed eran ombre d’un giovine sire,
erano un flebile liuto d’Amore;
e presso ‘l tanto e donnesco dolore
il bardo ignoto discusse al suo cor.
Era una nobile donna gemente,
bella e gentile... le gote di porpora;
e nel mistero piangeva alla tortora
lo sposo infame, dell’oro cantor.
Ma ‘l canto docile ch’udìa del sire
ahi, le raccese la debile spene;
e si propose allor di fuggire
con il suo amante, d’Amor pelle piene.
Misera donna!... Soggiunse lo sposo
che insospettito il bardo scacciò;
e nella torre d’ostello borioso
la sposa pallida crudo serrò...
e l’alta dote si prese terribile
parca lasciava alla sposa la cena;
ed ella mesta cavare la vena
voleva sempre tra lagrime allor.
Passâr de’ giorni... La dama era smorta,
ed una serva allor la librò;
e tra le fosche di Notte sì assorta
la giovin donna al mare n’andò.
Fuggiva ‘l crudo, tiranno suo sposo;
e d’affogarsi tentava per pene...
ma ‘l bardo amante, sua unica spene,
la vide in tempo... aperse ‘l suo cor.
Era una giovine adultera dama,
dolce e serena... suo labbro era ‘l foco;
e in sul bel lido gioiva d’un giuoco
da molto ignoto: un bacio d’Amor.
Debile incanto di stella tra’i nembi
era ‘l suo docile volto rapito...
debil passione d’ardore assopito
era la formida e giovine età.
Debile incanto di stella tra’i nembi
era ‘l suo limpido seno ridente...
debil passione di foco fuggente
era la morbida sua dolce beltà.
Debile incanto di stella tra’i nembi
era ‘l suo fascino colmo di tedi...
debil passione colui che ai suoi piedi
gaudio prostravasi con voluttà.
Era una nobile donna in sorriso,
molle e graziosa... di pallida pelle;
e col suo amante fissava le stelle
ch’erano in cielo un solo splendor.
Venne ‘l momento dell’alba temuta;
e si lasciarono verso ‘l mistero...
Ella sapeva che dunque perduta
era davanti al sposo suo fiero.
Ma quando ‘l sire fuggito era lungi
una sirena in gloria l’apparve;
le diede un’arpa fatata da larve
e disse poscia: «Con essa sen muor!...
Sònala e canta, sul far della sera,
qui... sulle rive fiammanti del mare;
e tuo marito n’andrà a naufragare,
e col suo Fato s’inebria l’Amor!».
Detto l’arcano, la ninfa scomparse...
e la fanciulla si volle omicida...
e colle brame più prossime e arse
tornò a casa, del cor la più infida.
Seppe che ‘l sposo all’alba partiva...
ed era l’attimo della vendetta;
dormì tranquilla per quella saëtta...
per l’arpa magica messa al suo cor.
Ma ‘l Fato avverso le stava ne’i pressi,
e bieco e infame le tese un agguato;
ed era ‘l Fato d’un esser dannato
sempre all’infamia... e sempre al dolor;
e venne l’alba... La giovin fanciulla
si prese l’arpa e al lido n’andò;
e colle magiche posse del nulla
morte e dolenza sonàndo evocò.
In sullo scoglio seduta tremenda,
era una giovine amante in furore;
e chiese e pene, e fine e dolore
per chi rapiva il suo core e ‘l suo ôr.
Salpava oscuro nel bieco orrizzonte
un crudo e infame e duro naviglio;
ma quale subito son di periglio
il ciel tonava co’i nembi in furor...
ed eran lampi... ed eran cicloni,
erano i turbini della tempesta...
ed eran tòni... ed eran passioni
d’un cor tradito... di vindice testa;
ed era ‘l trillo dell’arpa stregata,
il canto giovine di mesta amata...
ed eran gemiti... spettri e fantasmi...
ed era ‘l pegno de’i formidi spasmi;
ed era ‘l ghigno d’un Fato maligno,
ed era grandine che ‘l vento aprì...
Allor qual forte e acerbo macigno
l’egra tempesta la nave colpì...
Allor le vele su’i freddi fondali
del mare nordico tosto crollâr.
Tacquesi l’arpa... si tacquero i mali,
calmo si fece perfino ‘l reo mar.
Era una giovine dama felice,
calma e serena... e libera alfine!
Ma su’i suoi piedi... sul lido in confine
giunse un cadavere punto sul cor;
ed era ‘l bardo... ed era l’amante...
non la sua vittima, quel mercatante;
ed era morto... ucciso da lei...
dall’arpa insana di flebili Dei!...
Orrore! Orrore!... La dama lo scorse,
gli gridò ‘l nome... lo scosse sul braccio...
urlò agli spettri... ma niuno le accorse...
gemette allora sull’ultimo abbraccio.
Piangeva mesta... cercava la ninfa
del mar malvagio che l’arpa le diede...
e le tremava sul lido ‘l bel piede...
e le gridava dal seno ‘l reo cor.
Allora prese pel collo ‘l suo bardo,
gli diede un bacio... e allor lo lasciò...
si gettò in mare... e in mare annegò...
priva di Vita... E priva d’Amor! |
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