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Notti frastornate
dal canto ossessivo di cicale.
Aria densa di odori di rose,
di tigli, eucalipti e frassini.
Nelle viuzze infestate ancora
dall’aroma amarognolo dei lampascioni
soffritti nelle nere sartaine,
sui tetti consunti dall’acqua piovana
e dall’incuria umana,
nei cespugli frastagliati di more
e intorno ai rododendri
rischiarati dalla luna,
bivaccano, a stormi,
le lucciole.
Le notti estive sono placide,
le stelle ammiccano indifferenti
e le lucciole,
con il loro sfavillìo,
piroettano a migliaia negli angoli bui.
Avanzano ondeggiando
prima da una parte
e poi dall’altra,
si sparpagliano, girano,
sembra che giochino.
Vanno su a gruppi,
qualcuna resta indietro,
altre si affollano intorno
agli arbusti di rosmarini.
Danzano nell’aria
un ballo antico come l’uomo,
una piccola,
incantevole magìa notturna
che riporta
ai sogni dell’infanzia
e ai sbalordimenti strazianti
dell’adolescenza.
Forse per comprendere meglio
le ansie degli uomini
potremmo provare a volare
come le lucciole
o quantomeno a sollevarci da terra,
come San Giuseppe da Copertino,
levitando sopra le miserie,
le inquietudini,
le violenze,
il mondo senza grazia,
la storia orfana
dei miracoli.
Come le lucciole
potremmo regalare più luce
ai paesi e alle campagne,
agli uomini pigri,
a quelli con la fregola,
a coloro che, inconsciamente,
anelano al delirante progresso universale.
Come le lucciole
potremmo partecipare
anche noi al grande ballo sotto le stelle,
accoppiandoci in mezzo ai cespugli
di more e lavanda:
un godimento estremo
e poi la morte a suggellare l’incanto. | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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